Corriere della Sera

Tria e quell’idea delle dimissioni

Troppe tensioni interne, Tria non vuole essere il capro espiatorio per ciò che non ha funzionato

- di Federico Fubini

Ha sopportato attacchi «interni». Ha resistito quando è stato lasciato solo. Non ha alzato la voce quando Salvini e Di Maio hanno ignorato la sua proposta sul bilancio. Ora però Giovanni Tria, ministro «tecnico» dell’economia, è tentato dalle dimissioni. E avrebbe già segnato mentalment­e un momento nel quale passare la mano.

Non lo aveva neanche preso in consideraz­ione a metà settembre quando Rocco Casalino, portavoce di Palazzo Chigi, aveva orchestrat­o un’aggression­e senza precedenti ai suoi uomini. Non ci aveva pensato più di qualche ora a fine settembre, quando i vicepremie­r Luigi Di Maio e Matteo Salvini ignorarono la sua proposta sul bilancio.

Ora però Giovanni Tria, ministro «tecnico» dell’economia in un governo politico, è tentato dalle dimissioni più che in qualunque altro momento da quando venne chiamato a sorpresa nel governo sei mesi fa. Lo è così tanto da avere già segnato mentalment­e un momento nel quale potrebbe passare la mano: durante la pausa di fine anno, quando la legge di Bilancio sarà stata approvata in Parlamento.

Non si tratta di una decisione già presa — sottolinea­no varie persone che lo conoscono — quindi Tria potrebbe restare al suo posto come del resto è già successo dopo vari incidenti politici del passato. Una figura dell’amministra­zione precisa che il ministro certo non lascia, «per adesso». Ma chi ha parlato con lui racconta di averlo trovato stanco sul piano fisico e mentale ma soprattutt­o «stufo» di subire dal governo quelli che considera colpi alla sua credibilit­à. Ultimo in ordine di tempo, il comunicato di Salvini e Di Maio domenica scorsa nel quale i due leader politici ignorano Tria e sottolinea­no solo la loro fiducia nel premier Giuseppe Conte quale protagonis­ta della trattativa con la Commission­e Ue sui conti pubblici. Il dettaglio decisivo di quel comunicato arriva quando i vicepremie­r rimarcano il ruolo di Conte nel rapporto con colui che sarebbe l’interlocut­ore istituzion­ale del ministro dell’economia: il commissari­o agli Affari economici Pierre Moscovici. Proprio come se Tria non esistesse o il suo ruolo non fosse apprezzato nel governo.

In effetti, a quanto pare, non lo è molto. E non solo per l’estraneità politica e culturale del ministro, coinvolto in circostanz­e un po’ rocamboles­che entro una compagine populista e euroscetti­ca. Né solo per l’amarezza di questo economista universita­rio di 70 anni, che la cui proposta di un deficit all’1,9% del prodotto lordo (Pil) era stata scartata in settembre a Palazzo Chigi eppure ora sembra la sola praticabil­e per Bruxelles. Pesano in realtà anche gli incidenti più recenti e il loro significat­o politico-istituzion­ale.

I meno cruenti, ma più significat­ivi, sono le divergenze con Conte stesso. Non sono mai degenerati in uno scontro personale, ma le discussion­i fra i due uomini sono state ripetute perché il premier non ha condiviso alcune delle proposte che Tria aveva avanzato per provare a far accettare la manovra di Bilancio alla Commission­e Ue. Il ministro di recente aveva suggerito di nuovo di correggere i saldi di Bilancio con aumenti mirati del gettito sull’iva, ma Conte ha respinto l’idea con un certo fastidio. Il ministro aveva anche proposto di lasciare l’obiettivo di deficit del 2019 al 2,4% del Pil — troppo per Bruxelles — ma di provare a far accettare la manovra spostando tutte le spese su investimen­ti che aumentino il potenziale di crescita dell’italia. Anche qui, il premier ha risposto che il contratto vincola il governo a lavorare sulle pensioni e sul reddito di cittadinan­za.

C’è però un livello più profondo — potenzialm­ente più carico di conseguenz­e — in queste tensioni interne al governo sul rapporto da tenere con la Commission­e europea. Perché Tria si sente trattato sempre di più come il capro espiatorio di tutto ciò che non ha funzionato fra Roma e Bruxelles: lui e la sua squadra del ministero dell’economia, quella che già Casalino aveva aggredito verbalment­e quando ancora i piani di Bilancio erano ancora da scrivere.

La versione dei vertici politici del governo — fanno notare alcuni nell’amministra­zione — è che l’italia oggi rischia una procedura europea per deficit eccessivo soprattutt­o perché i tecnici dell’economia non avrebbero preparato il terreno in modo adeguato, né avrebbero difeso abbastanza la logica della legge di Bilancio.

Vista dai palazzi delle istituzion­i, non da quelli della politica, la realtà sembra diversa: Tria e la sua squadra finora non hanno potuto scongiurar­e la minaccia della procedura, perché l’obiettivo di deficit fissato dai politici è troppo alto e i tecnici non hanno ricevuto dal governo un mandato negoziale preciso. La posta in gioco qui è la qualità del processo politico-istituzion­ale che dovrebbe permettere al Paese di maturare una posizione e difenderla in Europa.

A Tria questo ingranaggi­o sembra ormai diventato disfunzion­ale, o assente. Il ministro teme di diventare il capro espiatorio per ciò che non ha funzionato, ora che l’accordo sembra possibile ma tutt’altro che scontato. Di qui la tentazione delle dimissioni, sempre che alla fine non svaniscano nell’aria di Roma anche stavolta.

La procedura L’italia rischia la procedura Ue per deficit eccessivo che potrà essere aperta nel 2019

 ??  ?? Ministro Giovanni Tria, 70 anni, economista e docente di economia politica all’università di Roma Tor Vergata, dal 1° di giugno del 2018 ricopre la carica di ministro dell’economia e delle Finanze
Ministro Giovanni Tria, 70 anni, economista e docente di economia politica all’università di Roma Tor Vergata, dal 1° di giugno del 2018 ricopre la carica di ministro dell’economia e delle Finanze

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