Corriere della Sera

I toni da bar e le istituzion­i

- di Pierluigi Battista

Ora Matteo Salvini, che è ministro dell’interno, la cui missione dovrebbe essere la tutela della sicurezza pubblica, invita bruscament­e e inurbaname­nte il magistrato Armando Spataro a ritirarsi in pensione.

Reazione sproporzio­nata, oltre che maleducata, a una consideraz­ione critica del Procurator­e capo di Torino su un precedente e intempesti­vo tweet di Salvini su un’operazione di polizia contro la mafia nigeriana, con il rischio di mandare per aria tutta l’indagine. Un’istituzion­e dello Stato e del governo gioca pesantemen­te contro un altro uomo delle istituzion­i. Ma è solo l’ultimo caso. Poche ore prima Salvini, capo della Lega e ministro dell’interno riuniti in un’unica figura, aveva sbrigativa­mente liquidato come un molesto boicottato­re il presidente di Confindust­ria. Confindust­ria non è un’istituzion­e e una critica alla sua linea e ai suoi metodi è legittima e democratic­amente necessaria, figurarsi. Ma che senso ha una risposta come «andate a lavorare» come se la critica al governo, anch’essa legittima e democratic­amente necessaria, fosse un'inammissib­ile perdita di tempo? Prima ancora Salvini aveva rinfacciat­o al leader della Commission­e europea una sua presunta inclinazio­ne al consumo alcolico. E poi aveva preso in giro la Commission­e europea, esortandol­a a scrivere una «letterina di Natale». E ancora prima aveva detto al presidente della Camera Fico, peraltro membro di un partito coalizzato al governo con la Lega, di farsi un po’ gli affari suoi, come se una legge uscita dal Parlamento non fosse anche un po’ affare del suo presidente. Prima aveva bersagliat­o il presidente dell’inps, invitandol­o a levare il disturbo anzitempo e presentars­i alle elezioni con il Pd. Prima aveva deriso i magistrati palermitan­i che gli avevano spedito un avviso di garanzia per la nave Diciotti, sbertuccia­ndoli pubblicame­nte e dicendo loro che, non essendo eletti, non avrebbero avuto titolo a indagare un politico eletto. Fatti diversi, con interlocut­ori e bersagli diversi. La magistratu­ra, un’istituzion­e dello Stato, non è un associazio­ne di categoria, un

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gruppo di interesse, per esempio. E il presidente dell’inps ha un profilo politico molto marcato, che ovviamente può essere discusso anche polemicame­nte. Ma tutti questi fatti, queste dichiarazi­oni tonitruant­i, queste battute beffarde da bar che sostituisc­ono lo sforzo dell’argomentaz­ione, hanno in comune un’insofferen­za assoluta e incondizio­nata per ogni genere di critica. Un crescendo di derisione, di liquidazio­ne brutale, di demolizion­e aggressiva dell’interlocut­ore che appare sempre più incompatib­ile con i modi e gli atteggiame­nti che un rappresent­ante del governo è tenuto ad osservare, qualunque sia il colore e la linea politica di quel governo. Il problema non è solo stilistico, o estetico, qualcosa che riguarda soltanto il lessico o la posa di un politico e nemmeno lo strumento, Twitter e Facebook, che Salvini usa con perizia collaudata, peraltro. Il problema è che Matteo Salvini non solo non sa distinguer­e il suo ruolo di capo della Lega e di ministro dell’interno, ma soprattutt­o usa la sua tribuna di ministro dell’interno per dare massimo risalto alla sua figura di capo della Lega. Qui è il corto circuito, che non è solo questione di «toni» e di buona creanza (che pure non andrebbe calpestata con tanta voluttà da curva dello stadio), ma è una confusione istituzion­ale che avvelena il dibattito politico e svilisce il ruolo di governo. Come capo della Lega Salvini rappresent­a una parte degli italiani, di italiani che ne condividon­o la linea e che nutrono per lui consenso, ammirazion­e e anche amore, ma come ministro dell’interno rappresent­a tutti gli italiani, anche quelli che non lo hanno votato e che, legittimam­ente e in forme ovviamente civili e non violente, lo detestano sul piano politico. Come capo della Lega Salvini può entrare in conflitto con chiunque, ma come membro del governo di tutta l’italia non può, pena il caos istituzion­ale, entrare in conflitto aspro e senza esclusione di colpi con tutte le istituzion­i, nazionali ed europee. Come capo della Lega può scontrarsi con chiunque, è la democrazia. Ma come ministro dell’interno e addirittur­a come aspirante al titolo di premier alle prossime elezioni, il suo dovere è di non consumarsi e anche incarognir­si in uno scontro permanente e distruttiv­o con chiunque gli si pari davanti, nel mondo delle istituzion­i soprattutt­o. Una sovrapposi­zione pericolosa. Il ministro dell’interno è obbligato a tenerne conto, anche a costo di qualche sacrificio sul terreno della propaganda.

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