Corriere della Sera

Il dramma della lirica è tutto nei suoi debiti

RICAVI MODESTI E SCARSA PARTECIPAZ­IONE DEI PRIVATI IL ROSSO DELLE FONDAZIONI CON LO STATO SUPERA I 400 MILIONI IL CASO VIRTUOSO DELLA GESTIONE DELLA SCALA DI MILANO

- Di Paolo Conti e Milena Gabanelli

La lingua italiana è esportata nel mondo grazie all’opera lirica, che ha reso il melodramma famoso in tutto il pianeta, inclusa la Cina dove le produzioni operistich­e stanno crescendo. Nella scorsa stagione La Traviata è stata l’opera più rappresent­ata in assoluto (4.190 rappresent­azioni), al quarto e quinto posto Puccini con La Bohème, e Tosca.

Eppure in Italia, il mondo operistico è un problema economico.

La legge Melandri e i deficit mostri

Nel 1996 gli enti lirici erano così indebitati che dovevano fallire tutti. Li salva la Riforma Melandri trasforman­doli da enti di diritto pubblico in Fondazioni private, sottoposte però a tutti i vincoli pubblici. Lo scopo era quello di incentivar­e l’ingresso di capitali privati, alleggeren­do lo Stato dal pesantissi­mo impegno economico. Oggi le Fondazioni lirico sinfoniche sono 14: la Scala di Milano, il Teatro Comunale di Bologna, il Maggio Musicale Fiorentino, il Carlo Felice di Genova, il San Carlo di Napoli, il Teatro Massimo di Palermo, il Teatro dell’opera di Roma, il Regio di Torino, il Giuseppe Verdi di Trieste, la Fenice di Venezia, l’arena di Verona, l’accademia S. Cecilia di Roma, il Lirico di Cagliari, il Petruzzell­i e Teatri di Bari. Assorbono complessiv­amente molto denaro, perché l’opera lirica, in tutto il mondo, è lo spettacolo più costoso e con la sola biglietter­ia non ce la fa a stare in piedi. Nel 2018 il Fus, Fondo Unico dello Spettacolo, li ha finanziati con 178.854.000 euro, ripartiti in base alla loro programmaz­ione.

Dove ha funzionato

Camminano sulle loro gambe il Santa Cecilia di Roma, la Fenice di Venezia, e ovviamente la Scala di Milano, che ha 900 dipendenti, un bilancio da 120 milioni l’anno e una programmaz­ione in crescita. Il 65% del budget viene da finanziame­nti privati tra sponsor (Allianz, Intesa, Luxottica), soci fondatori (Eni, Fondazione Cariplo, Camera di Commercio, Mapei, Fondazione Monte Lombardia ) e ricavi propri, cioè 35 milioni di biglietter­ia, mentre di 31 milioni è stato il contributo del Fus nel 2017. Si legge nella relazione della Corte dei Conti: «La Scala è riuscita ad affermare una sua preminenza a livello internazio­nale, un prestigio che si riflette sull’intera offerta teatrale del Paese. Anche per questo la Scala può fare affidament­o su un afflusso di contributi privati e sponsorizz­azioni difficile da immaginare per gli altri Teatri». Ed è proprio questo il punto: nelle periferie del Paese le altre dieci Fondazioni non hanno trovato privati che ci mettono «soldi veri», anche se amano sedere nei prestigios­i Cda.

Pochi privati e tanti debiti

Qualche esempio, tra i tanti. Nel 2017, il teatro Verdi di Trieste contempla solo 344.799 euro di contributi privati, contro gli 8.585.638 dello Stato e i 3.219.915 della Regione. Al Teatro Lirico di Cagliari la Fondazione di Sardegna (privata) versa, nel bilancio di previsione 2018, 570.000 euro contro i 9 milioni dello Stato e i 7 della Reso gione Sardegna. Va meglio All’opera di Roma, che sta moltiplica­ndo le tournée di successo all’estero, sponsorizz­azioni e contributi privati sono invece arrivati a 2.400.000 euro mentre lo Stato assicura complessiv­amente 21 milioni, il Campidogli­o 15 e la Regione Lazio 1.865.000. Non ce l’hanno fatta nemmeno i Teatri lirici di Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Palermo, Arena di Verona, e per risanarli nel 2013 è intervenut­a un’altra legge, la «Bray/ Franceschi­ni». La sostanza è che continuano a vivere grazie ai contributi pubblici perché non avevano i requisiti per diventare Fondazioni, e oggi hanno accumulato oltre 269 milioni di debiti. Comunque a fine 2019 si valuterà se sono riusciti a raddrizzar­si e potranno mantenere lo status di Fondazione. Molti teatri hanno giocato la carta di prove aperte, spettacoli per giovani, spettacoli a prezzi agevolati, promozioni per attirare nuovo pubblico. Nella relazione della Corte dei Conti sui bilanci 2016 si mettono a fuoco i difetti: «le gravi debolezze struttural­i alle quali i soggetti fondatori dovrebbero assolutame­nte porre rimedio. Gli apporti di Regioni ed enti locali sono spes- modesti ed erogati con ritardo…una partecipaz­ione dei privati e degli sponsor troppo limitata…ricavi da biglietter­ia e abbonament­i in genere modesti…segno di una non efficiente attività di promozione…oneri struttural­i eccessivi, soprattutt­o quelli per il personale». Ed è il caso del Regio di Torino, ultimo esploso in grave crisi finanziari­a. E allora che si fa?

Il futuro

Gianluca Sole, commissari­o straordina­rio del Governo per il risanament­o delle fondazioni lirico sinfoniche, all’inizio di ottobre ha detto che il debito si è ridotto di una quota importante rispetto a due anni fa. Ma di quale cifra parliamo? Lo ha rivelato Cristiano Chiarot, Presidente dell’associazio­ne Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche, nel corso di un’audizione il 7 novembre 2018 in commission­e Cultura del Senato: «L’insieme del debito supera i 400 milioni di euro, e non potrà essere estinto a breve», ed ha aggiunto: «Essendo la gran parte di questo debito nei confronti dello Stato, l’unica soluzione è che lo Stato trasformi il proprio credito in patrimonio per le Fondazioni». Ovvero «azzeriamo tutto». Il che avrebbe anche un senso, a condizione che si aggiusti il tiro, come ha dichiarato qualche giorno fa il Ministro per i Beni Culturali Alberto Bonisoli: «Il ministero non farà mancare il supporto a queste Fondazioni, ma servono piani industrial­i, credibili nei numeri, e chiari nella visione strategica». Vuol dire che andranno parametrat­i alle capacità dei territori e la gestione affidata a chi ha dato prova di competenza sul campo, visto che — è dimostrato — 1 euro investito nella buona gestione di un teatro ha una ricaduta di 4 euro sul territorio, poiché le persone si spostano e spendono. Lo sanno bene nel resto d’europa: in Francia i teatri lirici hanno circa il 90% di finanziame­nti statali, l’opera di Parigi incassa sui 100 milioni di euro l’anno di contributi, ed è gestito direttamen­te dal Ministero della Cultura; in Germania i teatri sono quasi interament­e finanziati dallo Stato, nella piccola Austria solo l’opera di Vienna riceve 85 milioni ogni anno, e la Svizzera ne versa 80 al Teatro dell’opera di Zurigo. Per avere un’idea del rapporto: la Scala di Milano, considerat­o nel mondo il teatro lirico n. 1, l’anno prossimo incasserà dallo Stato meno di 28 milioni.

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