MATERNITÀ E LAVORO, PERCHÉ NON INCENTIVARE IL CONGEDO DEI PADRI?
Nulla è meglio della libertà di scegliere. Anche quando si tratta di decidere come organizzare il proprio tempo di madri lavoratrici. L’emendamento promosso dalla leghista Silvana Comaroli nella legge di Bilancio va in questa direzione: più libertà alle lavoratrici di scegliere come articolare i cinque mesi di congedo obbligatorio di maternità. Oggi le opzioni sono due: due mesi prima del parto e tre dopo oppure uno prima e quattro dopo. Se il testo sarà ratificato al Senato arriverà una terza opzione: lavorare fino al parto e poi restare cinque mesi interi a casa dopo, quando il piccolo è già nato. Il rischio che le donne siano spinte dalle imprese verso questa terza opzione dovrebbe essere limitato: per l’azienda i mesi di assenza resterebbero cinque, indipendentemente dal fatto che la neomamma decida di «spenderli» prima o dopo. Un’implicazione di cui tenere conto, però, ci sarebbe. E non certo favorevole alle donne. Di fronte alla possibilità di garantire un mese di più di presenza a casa al nuovo nato, secondo voi, le italiane cosa sceglieranno? Molte saranno portate a resistere in ufficio, nonostante il pancione e le caviglie gonfie, e fare qualche sacrificio in più per restare al lavoro fino al parto pur di avere un mese in più da dedicare al neonato. Se l’obiettivo — condivisibile — è quello di agevolare la conciliazione tra famiglia e lavoro, altre misure a costo zero come questa potrebbero essere prese in considerazione. Per esempio incentivare i papà a sfruttare il loro congedo, che oggi troppo spesso non viene utilizzato. Tra l’altro, il rischio è anche che questo tipo di misura alla fine sia poco utilizzata. L’età in cui si fanno figli è sempre più elevata. E il pancione del nono mese è più pesante quando hai superato i 35. Le donne queste cose le sanno. Utile sarebbe se interventi su questi complessi equilibri fossero il risultato di una seria opera di ascolto.