Gli azionisti vincolati a non lanciare un’opa
Mediobanca, sì al patto sul 20% del capitale I soci non faranno liste
Il nuovo patto di Mediobanca approvato ieri dai soci forti — un patto di consultazione e senza vincoli di voto né alla disponibilità delle azioni che identifica come stabile un pacchetto del 19,82% che ruota attorno a Unicredit e alle famiglie Doris e Benetton — rappresenta un «capovolgimento di un sistema storico», come spiega una fonte vicina al dossier.
Non più il vecchio patto di sindacato, dunque, che bloccava la disponibilità dei titoli ma vincolava anche la banca a scelte esterne al suo consiglio di amministrazione — formula anacronistica per gli stessi soci ma soprattutto schema di governance avversato dal mercato e dalla vigilanza Bce — ma un accordo light che dà ai suoi componenti il diritto a essere informati dal management sull’andamento della banca dopo i conti semestrali e in vista dell’assemblea, nel rispetto della «parità informativa» con il mercato, nonché di presentare la lista per il collegio sindacale ma non più invece per il consiglio, dato che al rinnovo, nel 2020, la lista sarà una prerogativa del board uscente. Solo se il cda non presentasse la lista, il patto potrebbe presentarne una.
Con la disdetta di Vincent Bolloré, azionista al 7,8%, che a settembre ha fatto sciogliere anticipatamente il patto — in piedi tecnicamente fino a fine anno — e la costituzione di questo nuovo accordo triennale, Mediobanca si configura ormai come una public company ma con uno zoccolo di soci che vogliono scommettere sulla crescita della banca nei tre settori chiave: wealth management, investment banking e credito al consumo.
Chi entra nel patto — presieduto da Angelo Casò — si vincola fondamentalmente a non lanciare l’opa sulla banca. Per restare pattisti bisogna avere almeno 500 mila azioni: un biglietto d’ingresso in quello che una volta era il «salotto buono» che ad oggi costa 3,9 milioni di euro.
L’indipendenza rinnovata di Mediobanca si riverbera anche su Generali, di cui Piazzetta Cuccia ha il 13% che non verrà per ora ceduto né ridotto del 3%, come da piano. Il mantenimento, deciso dall’ecofin, della regola cosiddetta «Danish compromise» evita a Mediobanca di dovere dedurre dal patrimonio — il più alto in Italia tra le grandi banche, pari al 14,2% — una quota legata proprio alla partecipazione nella compagnia. Mediobanca è il caso più significativo in Europa di partecipazione diretta di una banca in un’assicurazione, e quindi la più colpita dalla fine della regola «danese»; il ceo Alberto Nagel ha impiegato 6 mesi in discussioni con i regolatori per ottenere l’allungamento della norma fino al 2024, così da avere un trattamento pari ai conglomerati, che hanno assicurazioni ma non devono dedurle dal patrimonio.