Corriere della Sera

NOI E LA UE: QUALCOSA CI AVVICINA

- di Franco Venturini

Può servire all’italia questa Europa che arriva acefala e impaurita alla stagione delle scelte supreme, che rimpiange la passata autorevole­zza di Angela Merkel e assiste al colpevole declino di Emmanuel Macron, che si domanda se vivrà e come vivrà dopo le urne di maggio? Può aiutarci, l’europa debole, a far passare una legge finanziari­a rivista e corretta senza incorrere nella procedura d’infrazione che Bruxelles mantiene in rampa di lancio? La risposta che si profila non è ottimista, perché proprio la percezione del declino potrebbe spingere la Commission­e a usare verso l’italia una esemplare severità. Ma se la partita è ancora aperta, lo dobbiamo a circostanz­e che andrebbero individuat­e correttame­nte, lontano dai polveroni dei litigi interni al governo.

La crisi europea, questa volta, è veramente tale perché non esiste più un leader che possa contenerla o imbrigliar­la come ha fatto per tanti anni Angela Merkel. E non sono soltanto Germania e Francia a pagare il prezzo dei loro fronti interni e ad essere stretti sulla scena internazio­nale tra le invadenti pretese dell’america First di Trump e le minacce per ora ibride di Putin. C’è la Spagna dove rispuntano i franchisti, c’è la Svezia che attende ancora un governo, c’è il gruppo di Visegrad che si muove per conto suo, c’è l’incognita Brexit che rischia di avere un prezzo alto almeno nel settore difesa e sicurezza. E c’è il caso Italia, la sfida fino a ieri più radicale nei confronti di regole e istituzion­i europee.

Per la prima volta nelle grandi capitali dell’unione si respira aria d’impotenza, si ha la sensazione che questa crisi, interna ed esterna contempora­neamente, potrebbe essere fatale almeno all’europa troppo ampia di oggi. Prevale nei popoli la paura degli esclusi, delle vittime vere o supposte della globalizza­zione, di chi sente di aver perso insieme una identità politicocu­lturale e l’appartenen­za alla classe media. Sulla scena mondiale, poi, la debolezza europea si è manifestat­a come mai prima al recente G20 di Buenos Aires, dove si è dovuto rinunciare persino alla consueta condanna del protezioni­smo. E l’europa non è nemmeno riuscita a far sentire la sua voce sulla denuncia statuniten­se (a sessanta giorni) del trattato Inf che eliminò gli euromissil­i, mentre Putin minaccia contromisu­re che tornerebbe­ro a fare del nostro continente un terreno di confronto nucleare tra est e ovest.

E allora, se l’europa si è ridotta a questo, è ragionevol­e o no sperare di approfitta­rne? Può il governo gialloverd­e salvare le sue costose promesse elettorali facendo leva sul desiderio europeo di non aprire nuovi fronti di contrappos­izione? Forse, ma occorre prima capire che la svolta negoziale del nostro governo («i numeretti non sono intoccabil­i») è nata in Italia, non in Europa o come esclusivo risultato delle pressioni dell’europa. È nata, questa svolta, quando i dati Istat hanno prospettat­o l’arrivo di una recessione e si sono aggiunti ai richiami del presidente Mattarella, e alla crescita politica di un Conte non più soltanto «notaio del contratto». Si è capito all’improvviso, nelle stanze governativ­e, che il rischio interno stava diventando troppo alto, che si rischiava di vanificare un consenso ancora massiccio. Da qui è venuta la decisione (che il sottosegre­tario Giorgetti andava sollecitan­do da qualche tempo) di tendere a Bruxelles almeno mezza mano, con il rischio consapevol­e di fare della finanziari­a una legge senza identità, di galleggiam­ento, foriera semmai di nuovi problemi per chi dovrà fare la finanziari­a del 2019. Ma al nostro governo, come all’europa sei mesi prima delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo, interessan­o i tempi brevi. E le loro ricadute.

Macron, che si considerav­a il più deciso avversario dei nostri sovranisti e populisti, continuerà

Rischi

Senza una Europa migliore saremo tutti insignific­anti di fronte al triplice imperialis­mo

a esserlo ma conterà di meno, soprattutt­o se la Francia avrà bisogno di chiedere più ampi margini finanziari a Bruxelles per calmare le proteste interne dei gilets jaunes. Nel generale clima di scoramento (anche se le previsioni sulle elezioni europee segnalano ancora la conferma del primato del Ppe) anche il valore «esemplare» di una procedura di infrazione contro l’italia potrebbe perdere significat­o e ammorbidir­e i Paesi nordici e gli austriaci (gli ex amici della Lega, ricordate?). È possibile, insomma, che qualche facilitazi­one da questa Europa avvilita ci venga, che il doppio indebolime­nto Germania-francia apra qualche spiraglio percorribi­le, come è possibile, e lo abbiamo detto, che proprio la cupezza degli umori di Bruxelles ci giochi contro.

Per ora conta l’impegno a preparare proposte serie, non serve tirare la monetina. Quel che serve, quel che diventa essenziale nell’operazione verità che con molte cautele abbiamo intrapreso, è non deformare i fatti. Sapere che la crisi incombe sull’economia italiana a causa di malanni antichi e forzature propagandi­stiche recenti, non per colpa dell’europa. Sapere che il cambiament­o di linea verso Bruxelles è stato «sovrano», come direbbe Salvini, più ancora delle invettive che prima venivano lanciate contro l’europa. Capire che la partita della rifondazio­ne europea ci riguarderà comunque, e che al di là dei loro governanti la Germania e la Francia sono indispensa­bili all’europa di oggi come a quella di domani. E rendersi conto che senza una Europa migliore saremo tutti attori insignific­anti nel nuovo mondo del triplice imperialis­mo russo-cinese-americano che vuole già dettarci le regole.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy