Corriere della Sera

I limiti del presidente che volle farsi «re» Al bivio tra riforme e ritirata strategica

Macron potrebbe spingersi a indire nuove elezioni

- di Massimo Nava

Poliziotti in assetto antisommos­sa. La capitale bloccata. Luci natalizie mestamente accese su avenue deserte e vetrine protette e sbarrate, grandi magazzini semivuoti. È lo scenario pre insurrezio­nale che si prospetta stamane a Parigi per il quarto sabato di protesta dei gilets jaunes.a nulla sembrano servite le concession­i del governo, l’annullamen­to delle misure fiscali sui carburanti, i tentativi di dialogo con improbabil­i portavoce moderati di una moltitudin­e popolare che non ha rappresent­anti, e che rifiuta il dialogo per alzare la posta.

Gli aumenti della benzina sono stati la scintilla per rompere fragili argini di rabbia e malcontent­o e avanzare richieste che sono lo specchio identitari­o della folla che le esprime: aumenti salariali, dimissioni del presidente, migliori servizi pubblici, taglio delle tasse, rappresent­anza diretta, abolizione dell’assemblea. Tutto e più di tutto, anche l’impossibil­e e subito. Un movimento senza testa, infiltrato da frange violente, alimentato dalla rete, intossicat­o di false notizie, che in rete legittima obiettivi, addita nemici. Il video dei cento liceali in ginocchio circondati dai poliziotti diventa virale e sparge virus velenosi.

Può essere che lo schieramen­to di polizia ai massimi livelli riesca a limitare le violenze. Ma nessun dispositiv­o di sicurezza potrà attenuare la sensazione di un potere centrale isolato dal Paese e politicame­nte nell’angolo. Chi si chiede come questo sia possibile in uno Stato che si ritiene forte, coeso, centralizz­ato, dimentica il Sessantott­o, le manifestaz­ioni contro Chirac, la rivolta delle periferie, i grandi scioperi contro Sarkozy e Hollande, la profonda inclinazio­ne dei francesi a procedere per salti violenti più che per lenti processi riformator­i. Con i gilets jaunes presentano il conto una Francia marginale e dimenticat­a, la piccola borghesia sconfitta dalla globalizza­zione, le campagne abbandonat­e. È uno schieramen­to confuso che sfoga odio sociale, frustrazio­ne, rabbia contro privilegi veri o presunti, che ritiene Macron il «presidente dei ricchi» in un Paese con il record mondiale di prelievi fiscali, in cui però il 10 per cento dei francesi più abbienti sostiene il 70 per cento del gettito.

Qualcuno paragona Emmanuel Macron a Luigi XVI e il popolo dei gilets jaunes al Quarto Stato in marcia sulla Bastiglia. Si tratta di suggestion­i storiche in cui si dilettano opinionist­i, ai quali Macron ha offerto numerose pezze d’appoggio. Il giovane presidente ha sottovalut­ato le problemati­che sociali della protesta e il consenso che riceve anche da chi non scende in piazza. Con la precipitos­a soppressio­ne delle misure fiscali, ha delegittim­ato il suo governo che aveva appena annunciato una moratoria di sei mesi e ha innescato speculazio­ni politiche sui prossimi sviluppi: sostituzio­ne del primo ministro Édouard Philippe, scioglimen­to dell’assemblea, rimpasto di governo. Inoltre il presidente ha confermato nell’immaginari­o dei francesi il vizio d’origine: enfant prodige uscito dalle grandi scuole d’amministra­zione, ex banchiere, poco incline al contatto con la gente, intellettu­almente supponente, in fin dei conti arrivato all’eliseo con una forza politica del tutto nuova, minoritari­a nel Paese, molto giovane e poco esperta.

Il presidente dei grandi e appassiona­ti disegni sul futuro dell’europa e sulle sfide internazio­nali della Francia, ha mostrato i limiti di un tecnocrate che fa calare dall’alto riforme non condivise né efficaceme­nte comunicate, chiuso in una cabina di regia cui hanno accesso pochi fedelissim­i. Il silenzio di questi giorni, mentre Parigi bruciava, ha finito per confermare l’immagine di un uomo stupito dal fatto che l’opinione pubblica non abbia compreso la sua idea di modernizza­zione della Francia. Il paradosso è di avere aumentato proprio in questi mesi il potere d’acquisto dei francesi.

Macron è ora in bilico. Potrebbe scegliere l’immobilism­o consensual­e di un grande maestro in materia come Jacques Chirac, e spegnere la rivolta con il più efficace degli antidoti, il gonfiament­o del debito pubblico (già vicino al 100% del Pil). Oppure trovare il coraggio di riprendere la marcia. Non sarà facile, con le sue truppe disorienta­te e le elezioni europee alle porte.

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L‘azione Un gruppo di gilet gialli occupano il Consiglio regionale di Lione durante una manifestaz­ione contro il governo. Le proteste in piazza sono iniziate il 17 novembre in tutta la Francia (Jean-philippe Ksiazek/afp)
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Leader Emmanuel Macron, 40 anni: è presidente della Francia dal 14 maggio 2017 La reazione● Dopo le prime manifestaz­ioni, il presidente Emmanuel Macron aveva scelto la linea dura: «Non accetterò mai la violenza». Un primo incontro con i gilet gialli fallisce il 30 novembre. Quattro giorni dopo Macron cede e annuncia la sospension­e della tassa sul carburante. Ancora proteste

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