Il Colorado verde di Joe Neguse
Uno dei suoi musicisti preferiti, oltre a Bob Marley, è John Denver. E ci mancherebbe altro, visto che Rocky Mountain High (il pezzo più famoso del cantante folk che si chiamava Henry John Deutschendorf Jr.) è ormai il secondo inno del Colorado, lo stato di cui Joe Neguse, 34 anni, democratico, è divenuto a novembre il primo parlamentare afro-americano. In quella lunga notte del Midterm il suo è stato un messaggio positivo: «Sono profondamente ottimista per il futuro, perché possiamo lavorare insieme per ricostruire la nostra democrazia». Sì, ricostruire è la parola giusta.
Avere largamente battuto il candidato repubblicano Peter Yu in un distretto a maggioranza bianca — lui, nero — non è l’unico record del quale può andare orgoglioso. Sulla scalinata di Capitol Hill non era mai salito, fino ad ora, un eletto di origine eritrea. «Gli immigrati che arrivano in questo Paese — dice — hanno molto da dare». Come i suoi genitori, che sono fuggiti all’inizio degli Ottanta durante la guerra d’indipendenza eritrea. Non hanno visto con i loro occhi, così, gli abusi di un regime dispotico che ha tradito una gloriosa causa nazionale. Si sono stabiliti in California e poi a Boulder, in Colorado. In questa città, dove le montagne tanto care a Denver si profilano all’orizzonte, Joe si è laureato, summa cum laude, in giurisprudenza.
In un’intervista a Massimo Gaggi pubblicata dal Corriere, il politologo Michael Walzer si è detto perplesso su alcuni giovani candidati democratici: «Gente perbene, in gamba, sveglia, ma che non ha il fuoco dentro». Non sembra essere questo il caso di Neguse, che ha promesso di impegnarsi con forza per l’assistenza sanitaria, l’aumento del salario minimo, il controllo delle armi. Ma a questi temi «tradizionali» del suo partito si affianca il progetto del «Green New Deal», di cui è uno dei sostenitori, che prevede una totale riconversione ecologica dell’economia americana e un’azione decisa per tagliare le emissioni, in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Si tratta, insomma, di salvare il mondo. Provarci è possibile perché «se la paura è contagiosa, lo è anche la speranza».