Il secondo parere aiuta la relazione tra oncologi e pazienti
Imbarazzo. Tanto imbarazzo. È questo il sentimento che di solito provano i pazienti con una diagnosi di tumore quando (o se) comunicano al loro oncologo che «sì, forse…, cioè, non sappiamo, ma… vorremmo sentire anche un altro specialista».
Oppure quando ritornano da lui una volta che il secondo parere l’hanno avuto «magari a Milano», la meta preferita, ancora oggi, soprattutto dai pazienti del Sud. «Ecco dottore, no, non è per sfiducia, è che…» e tirano fuori la lettera di chi li ha visti e ha espresso la sua opinione (spesso in visita privata).
Forse lo stesso sentimento lo provano anche i medici che il secondo parere lo ricevono dal collega, magari con un pizzico di amor proprio ferito. E devono, però, riprendere il rapporto con il loro paziente.
Poi c’è l’atteggiamento di chi il secondo parere è chiamato a darlo. E qui i medici possono comportarsi in maniera diversa: c’è chi valuta con rigore il caso (e dovrebbe farlo visitando sempre il malato, non sulla base delle cartelle cliniche) e, a volte, telefona al curante per confrontarsi con lui. E chi, all’estremo opposto, rischia di pasticciare la situazione suggerendo, per esempio, nuove terapie, ancora sperimentali, senza tener conto del fatto se queste siano più o meno disponibili nel centro di riferimento del paziente, oppure prescrivendo esami che, alla fine, si rivelano inutili in una buona percentuale di casi.
Insomma il tema della second opinion come la chiamano gli anglosassoni, è complesso, ma l’aiom, l’associazione italiana di oncologia medica, l’ha preso a cuore e ha elaborato un decalogo per i medici che anche i pazienti dovrebbero conoscere, con alcuni criteri che ha presentato all’ultimo congresso nazionale a Roma .
Sgomberiamo subito il campo da malintesi: «La seconda opinione è un diritto dei pazienti, non è un lusso — precisa Nicla La Verde, Primario dell’oncologia all’ospedale Sacco di Milano e componente del Comitato Direttivo Aiom —. Oggi il paziente vuole condividere le scelte che riguardano la sua salute, anche perché è più informato: tutti, bene o male, consultano il web. Non a caso si parla di empowerment del paziente».
E se la seconda opinione in genere è richiesta da chi è affetto www.corriere. it/salute/ sportello _cancro/ da patologie di una certa gravità, è in oncologia che assume un significato speciale: perché, per esempio, la chemioterapia ancora fa paura, perché i pazienti sono bombardati, anche attraverso i mass media, da notizie che parlano di nuove ed efficaci terapie, con la star del momento che è l’immunoterapia. E in più…
«Perché non sono soddisfatti dei suggerimenti del loro oncologo — aggiunge La Verde —. Perché non hanno ricevuto l’ascolto voluto, perché sperano di trovare cure migliori, perché si trovano di fronte a incertezze diagnostiche (“noi pensiamo che lei abbia…”), perché sono spinti dai familiari”. E, ultima, ma non meno importante giustibisogno ficazione in tanti casi: la riluttanza ad accettare l’idea che «non ci sia più nulla da fare».
Il problema comunicativo è al primo posto come movente per la richiesta: il paziente ha
Che cos’è
È la richiesta di un’altra visita a un medico diverso da quello presso cui si è in cura