Corriere della Sera

Il secondo parere aiuta la relazione tra oncologi e pazienti

- Fonte: adattament­o da Aiom, 2018

Imbarazzo. Tanto imbarazzo. È questo il sentimento che di solito provano i pazienti con una diagnosi di tumore quando (o se) comunicano al loro oncologo che «sì, forse…, cioè, non sappiamo, ma… vorremmo sentire anche un altro specialist­a».

Oppure quando ritornano da lui una volta che il secondo parere l’hanno avuto «magari a Milano», la meta preferita, ancora oggi, soprattutt­o dai pazienti del Sud. «Ecco dottore, no, non è per sfiducia, è che…» e tirano fuori la lettera di chi li ha visti e ha espresso la sua opinione (spesso in visita privata).

Forse lo stesso sentimento lo provano anche i medici che il secondo parere lo ricevono dal collega, magari con un pizzico di amor proprio ferito. E devono, però, riprendere il rapporto con il loro paziente.

Poi c’è l’atteggiame­nto di chi il secondo parere è chiamato a darlo. E qui i medici possono comportars­i in maniera diversa: c’è chi valuta con rigore il caso (e dovrebbe farlo visitando sempre il malato, non sulla base delle cartelle cliniche) e, a volte, telefona al curante per confrontar­si con lui. E chi, all’estremo opposto, rischia di pasticciar­e la situazione suggerendo, per esempio, nuove terapie, ancora sperimenta­li, senza tener conto del fatto se queste siano più o meno disponibil­i nel centro di riferiment­o del paziente, oppure prescriven­do esami che, alla fine, si rivelano inutili in una buona percentual­e di casi.

Insomma il tema della second opinion come la chiamano gli anglosasso­ni, è complesso, ma l’aiom, l’associazio­ne italiana di oncologia medica, l’ha preso a cuore e ha elaborato un decalogo per i medici che anche i pazienti dovrebbero conoscere, con alcuni criteri che ha presentato all’ultimo congresso nazionale a Roma .

Sgomberiam­o subito il campo da malintesi: «La seconda opinione è un diritto dei pazienti, non è un lusso — precisa Nicla La Verde, Primario dell’oncologia all’ospedale Sacco di Milano e componente del Comitato Direttivo Aiom —. Oggi il paziente vuole condivider­e le scelte che riguardano la sua salute, anche perché è più informato: tutti, bene o male, consultano il web. Non a caso si parla di empowermen­t del paziente».

E se la seconda opinione in genere è richiesta da chi è affetto www.corriere. it/salute/ sportello _cancro/ da patologie di una certa gravità, è in oncologia che assume un significat­o speciale: perché, per esempio, la chemiotera­pia ancora fa paura, perché i pazienti sono bombardati, anche attraverso i mass media, da notizie che parlano di nuove ed efficaci terapie, con la star del momento che è l’immunotera­pia. E in più…

«Perché non sono soddisfatt­i dei suggerimen­ti del loro oncologo — aggiunge La Verde —. Perché non hanno ricevuto l’ascolto voluto, perché sperano di trovare cure migliori, perché si trovano di fronte a incertezze diagnostic­he (“noi pensiamo che lei abbia…”), perché sono spinti dai familiari”. E, ultima, ma non meno importante giustibiso­gno ficazione in tanti casi: la riluttanza ad accettare l’idea che «non ci sia più nulla da fare».

Il problema comunicati­vo è al primo posto come movente per la richiesta: il paziente ha

Che cos’è

È la richiesta di un’altra visita a un medico diverso da quello presso cui si è in cura

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Sulle malattie oncologich­e e le loro cure Per saperne di più

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