Bombolette, quegli assalti in discoteca
A Genova trovati in una casa spray e date dei concerti
In due anni ci sono state decine di attacchi con lo spray al peperoncino. Ora è presto per fare collegamenti, ipotesi e salti in avanti. Ma sembra ci siano gang che fanno questi assalti a caccia di oro e cellulari.
Agiscono in gruppo. ROMA Una rete che non si ferma al Nord, ma scende verso l’emilia-romagna e la Toscana, si sposta sul litorale laziale, fa puntate su quello adriatico, arriva fino al Salento. A oggi per contrastarli non c’è ancora una strategia unica, ma potrebbe arrivare presto: dopo la strage di Corinaldo il Viminale monitora la situazione. Non si escludono iniziative già dai prossimi giorni.
Le gang dello spray urticante non sono più uno spettro. È da oltre un anno che agiscono, seminando il panico in discoteche e concerti dei rapper più seguiti. Scelgono un obiettivo da una lista di eventi, si mischiano fra pubblico e avventori, rapinano catenine, portafogli e smartphone. E per coprirsi la fuga spruzzano spray con sostanze accecanti e stordenti, anche se non si esclude che abbiano utilizzato persino fumogeni lanciati fra la folla. Prodotti di libera vendita, negli shop online fra gli otto e i 20 euro. «Pepper fog», li chiamano, più potenti degli spray per autodifesa, sempre più presenti nelle borse delle ragazze.
Un modo d’agire che fa paura perché, come ha detto l’altro ieri il dj Giuseppe Plata, che dalla consolle ha assistito alla tragedia della «Lanterna Azzurra», «spruzzare gas intossicante sulla gente è un atto di terrorismo». Solo la parola inquieta, fa pensare a un aumento di controlli fuori dai locali notturni. A notti sempre più blindate. Se Roma e Napoli per ora sembrano immuni, da Genova arriva un’inquietante conferma: nel covo in centro di uno dei boss dello spray è stato trovato un arsenale di bombolette insieme con una mappa dei concerti in programma in città e in tutto il Nord. Non è finita: il capo banda era in contatto con il suo omologo torinese, Sohaib Bouimadaghen, detto «Budino», in carcere per la notte del 3 giugno 2017 in piazza San Carlo, a Torino: davanti al maxischermo per la finale di Champions lo spray, e il panico, fecero un morto e 1.526 feriti. Su quest’ultima gang ha indagato la Squadra mobile torinese, coordinata dai pm Paolo Scafi e Roberto Sparagna. Nell’atto di fine indagini dell’inchiesta-bis si contano 64 indagati per 54 colpi, 23 dei quali in discoteche in giro per l’italia del centro-nord, negli ultimi due anni. Dall’informativa della polizia emerge che il gruppo torinese non è l’unico con questa terribile specialità. Come si deduce da una conversazione Whatsapp intercettata fra Hamza Belghazi, 20 anni, anch’egli in carcere per piazza San Carlo, e la fidanzata: «Amore, questo posto fa schifo ci sono genovesi, bolognesi, milanesi». Non si riferisce ai clienti di una discoteca di Forte dei Marmi, annotano i poliziotti: «Belghazi si lamenta della presenza di altre batterie di rapinatori». Conclusione: «Non si esclude che i vari gruppi presenti si siano organizzati, pianificando appunto gli atti predatori».
Capita che le bande mettano a segno colpi di enorme impatto: per numero di rapine commesse e rischi per l’incolumità delle persone. La sera del 17 giugno 2017, all’autodromo di Monza, mentre si sta esibendo Justin Bieber, «tra gli 80 mila spettatori si scatena il panico, determinato dalla nebulizzazione di una considerevole quantità di agente irritante». Due ragazze, di 16 e 25 anni, finiranno all’ospedale per lesioni «da schiacciamento del torace», quelle che furono fatali alla donna morta in piazza San Carlo. Alla «Street parade» di Rimini, invece, il 24 giugno, si registrano «70 rapine di collane d’oro». Altro particolare per lo meno inquietante è che, delle gesta criminali, erano al corrente diversi ragazzi, a parte gli accusati: bastavano due chiacchiere al bar, in discoteca, o dare un’occhiata a Instagram. Emerge dalle chat intercettate: «Raga — scrive uno degli indagati — sono tutti convinti che siamo stati noi con lo spray». Risposta di un complice: «Lo so, mi hanno scritto tutti quelli che conosco di Venaria». Era la notte del 28 gennaio 2017, e stavano commentando il blitz al teatro Concordia, nel paese alle porte di Torino dove il concerto dei rapper Guè Pequeno e Marracash era stato sospeso per un attacco al peperoncino. Panico generale e spettatori evacuati. Molti sanno, ma nessuno parla. Riassume l’ex fidanzata di uno dei componenti della banda: «Facevano cose che non mi andavano bene: così, dopo appena un mese, l’ho piantato e non ci siamo più visti». Le bande, invece, hanno continuato.
La fuga
Per coprirsi la fuga spruzzano sulla folla sostanze accecanti e persino fumogeni