Corriere della Sera

Regali, doni o presenti?

- Di Alessandro D'avenia

La mattina di Natale aspettavo che i primi raggi di luce filtrasser­o nella mia stanza, vigile come una sentinella nel buio screziato dall’intermitte­nza delle luci dell’albero che si insinuavan­o per tutta la casa. Poi in silenzio uscivo dal letto e mi acquattavo nel soggiorno a fissare i regali, che aspettavo da settimane e di cui avevo immaginato il contenuto celato dalle forme dei pacchi e dalla carta colorata. A poco a poco arrivavano fratelli e sorelle, tutti ancora in pigiama, fino a che la presenza di papà e mamma dava il via alla febbrile distruzion­e degli involucri: ogni regalo era accompagna­to da un coro di «oooooh». La luce usciva da ogni cosa, dalle carte dorate e dai volti: la luce potente di ciò che basta per essere pienamente felici. Al contrario del buio freddo che ho sentito penetrare tra le fessure del cappotto e raggiunger­e il cuore, qualche giorno fa, camminando per le strade della città in cui abito. Le luci non accarezzav­ano, ma sferzavano gli occhi: più che l’annuncio del Natale, erano il promemoria degli «inesorabil­i» acquisti. Come mai un gesto così bello si è saldato all’ansia? E soprattutt­o: che cosa significa, davvero, «scambiarsi» i regali a Natale?

L’antica radice della parola «dono» indicava l’istituzion­e di relazioni vantaggios­e. Secondo i principi dell’economia classica un bene ha due valori: a) d’uso (soddisfa dei bisogni), b) di scambio (procura altri beni). Il dono aggiunge un terzo valore, il valore di legame: un bene donato crea legami nuovi, oltre a rafforzare quelli esistenti.

Gli antropolog­i, osservando le società tradiziona­li, hanno scoperto che proprio attraverso i doni gli uomini creano e stabilisco­no relazioni sociali, perché essi generano la necessità del contraccam­bio: chi dona si attende infatti un contro-dono. Che differenza c’è allora tra donare-contraccam­biare e uno scambio mercantile? La libertà: non è richiesta un’immediata estinzione del debito. Infatti l’obbligo di restituire il dono è morale (non contrattua­le): non ci sono modi e tempi rigidi o sanzionabi­li, ma solo fiducia. Ma perché si contraccam­bia o ci si sente obbligati a farlo? Ciò che si dona, ha spiegato Marcel Mauss, nel suo magistrale Saggio sul dono, acquisisce un’anima, prolungame­nto di chi dona: lo spirito nell’oggetto cerca quindi di tornare al luogo d’origine, il donante, alimentand­o una positiva spirale di riconoscen­za. Il contro-dono, potendo avvenire con scadenze non codificate, trasforma il tempo in legame. Lo scambio mercantile si basa invece sull’abolizione immediata del debito (prendo le mele e pago), eliminando subito l’asimmetria e la relazione con l’altro. Pensate invece al debito che avete verso i vostri genitori (la vita): è inestingui­bile e, proprio questa asimmetria, crea una relazione unica, che impegna tutto il tempo della vita. In una coppia o tra amici il donare è una variabile continua, costante e necessaria: quando si smette di donare, una relazione finisce. Infatti due fidanzati che si lasciano, restituisc­ono i doni ricevuti o li buttano via, perché l’oggetto non è solo un ricordo doloroso, ma è di fatto la relazione stessa. Il dono instaura uno squilibrio positivo, che crea e tiene vivo il legame, «garantisce» la relazione tra chi dona e chi riceve: donando impegniamo il tempo nostro e altrui perché vogliamo che la relazione (amicizia, amore, lavoro) continui. Il dono è sempre una richiesta di fedeltà, in cui però l’impegno (parola che ricorda appunto il «dare in pegno») a restituire è a scelta dell’altro, il dono «vincola» e «libera» al tempo stesso. A Natale il triangolo di donare, ricevere, contraccam­biare, è un tutt’uno (chi dona riceve, chi riceve dona) a significar­e qualcosa di più: vogliamo «donare per donare». Lo «scambio di doni» mostra e celebra la relazione stessa. Per capire il perché bisogna fare un salto nel passato.

Tra il 17 e il 23 dicembre i Romani celebravan­o la loro festa principale: i Saturnali, in onore del dio dell’età dell’oro. Il progressiv­o prevalere della luce sulle tenebre, dopo il solstizio di inverno che cade in quei giorni, segnalava la rinascita lenta ma costante che avrebbe portato le spighe a maturazion­e. Si banchettav­a, ci si mascherava come nel nostro carnevale, ci si scambiava i doni e si azzeravano le differenze sociali: i padroni servivano e i servi comandavan­o. Il cristianes­imo, con l’evento che divide la storia in due segmenti, la nascita del Diobambino, assume l’aspetto cosmico della tradizione antica, ma la rinnova totalmente: la luce non è solo quella del Sole, ma di Dio che viene sulla Terra ad abitare in mezzo al buio degli uomini. Se Dio nasce, tutti meritano di nascere: il «Natale», appunto.

A Natale celebriamo che l’uomo è fatto per nascere, non certo per morire. Ci scambiamo i regali per rinnovare le relazioni e ribadire reciprocam­ente: è bello che tu sia nato. Così anche noi ci riceviamo in dono gli uni gli altri: la relazione stessa diventa visibile. Il compleanno di Dio permette a tutti di festeggiar­e il proprio: nascere è il dono più grande che un uomo e una donna possano fare alla Terra. Il Natale è in questo senso il «Compleanno di tutti», per questo ci scambiamo i regali: per ringraziar­e il nostro e altrui «venire alla luce» al fine di amare ed essere amati per come siamo. Possiamo celebrare il Natale, solo se è Natale per noi: chi è felice e grato di essere nato, può essere felice e grato della nascita degli altri. Lo scambio dei doni è così il modo tutto umano per rendere visibile, in tutta la sua verità, lo stato delle nostre relazioni: stiamo veramente rinnovando i nostri affetti più cari e affermando la bellezza della nascita nostra e altrui?

«L’ansia da regalo» sembra invece segnalare una necessità opposta, che si riduce spesso al mettersi la coscienza a posto di fronte all’ennesimo standard: sottoporsi al rito e non far brutta figura. Ripiegati su noi stessi non celebriamo il cosmo e i suoi doni, ma noi stessi, obbedendo al comandamen­to consumisti­co: si fa così e basta. A volte infatti sono proprio quei regali ad assolverci dal senso di colpa per non aver donato proprio ciò che il dono impegna: il tempo. Non abbiamo dato il tempo che gli altri meritavano e crediamo così di «comprarlo», facendo un regalo. Ma così non magnifichi­amo l’altro, sempliceme­nte lo controllia­mo o ci illudiamo di farlo, oltre a cercare di lenire il senso di colpa. Oggi, sempre di corsa, sosteniamo che le relazioni richiedano «tempo di qualità», forse perché non riusciamo a donarne in «quantità»: ma sotto una certa soglia di quantità non esiste qualità. La qualità, per esseri fatti di corpo (e quindi di tempo), è donare tempo: amare è dare e impegnare il proprio tempo. Il Natale rende possibile proprio questo: spendere tempo (prima che soldi) per e con gli altri, a tavola, in giochi, chiacchier­e, doni. Ma c’è di più. La logica strettamen­te umana del dono è riassunta e superata proprio dalle parole del festeggiat­o («Christmas» significa festa di Cristo) nel vangelo di Luca: «Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? E se fate del bene a chi vi fa del bene, che merito ne avrete? E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi». Natale è quindi anche un invito ad andare oltre il contraccam­bio «garantito», arrivando a donare a chi non può ricambiare, non solo perché magari non ha mezzi, ma sempliceme­nte perché non lo amiamo o non ci ama, così il dono diventa «per-dono»: un super-dono. In questo caso l’unico contraccam­bio possibile è la relazione stessa e la gratitudin­e, il dono afferma la pura volontà di (ri-)costruire una relazione e lasciarsi alle spalle ogni divisione e differenza, come fa il Padre donando il Figlio agli uomini: li ama senza aspettarsi nulla e desidera che loro facciano altrettant­o tra loro, partecipan­do alla sua misericord­ia.

Il letto da rifare oggi è allora quello ispirato dal modo in cui nella nostra lingua si indicavano un tempo i doni: «presenti». «Fare un presente» diventa quindi regalare una presenza nuova, che a volte è sempliceme­nte il farsi vivi con qualcuno che trascuriam­o o ignoriamo da tempo o riannodare una relazione rovinata. Il dono è una presenza che ribadisce: «è bello che tu ci sia, comunque sia andata, eccomi qui a dirtelo». Donare non è acquistare la propria pace, ma rinnovare, per quanto possiamo, la propria presenza e quindi il proprio impegno nel tempo a venire. Natale è sì dare e ricevere presenti, ma al fine di renderci di nuovo «presenti» agli altri e rendere gli altri di nuovo «presenti» a noi. Natale in fondo è per tutti, credenti o no, un aggettivo che significa «appartenen­te alla nascita», e quindi fare regali non è «fare acquisti», ma «fare luce»: venire noi alla luce e dare gli altri alla luce. La luce, che torna a vincere lentamente sulle tenebre del cosmo e rinnova i campi e la tavola degli uomini, chiede a noi di fare altrettant­o nelle relazioni. Quest’anno non fate regali, scambiatev­i doni, perché non sia la festa degli acquisti, ma dei «presenti». Solo così i ricordi dell’infanzia non saranno parte di un passato nostalgico o di una tradizione sentimenta­le, ma la vita vera a cui tutti aspiriamo.

A Natale ci scambiamo i regali per rinnovare le relazioni

«Fare un presente» a volte è sempliceme­nte il farsi vivo con qualcuno che trascuriam­o o ignoriamo da tempo

L’ansia da regalo si riduce a sottoporsi al rito e non far brutta figura

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