Parigi, i gilet gialli e la città chiusa Quanto reggerà?
Oggi il discorso del presidente, che avrebbe ammesso «scemenze» fatte dal governo. Indagini sui social russi
Parigi, soprattutto Parigi, oggi è una città che sta subendo un ricatto. Negozi e banche che si barricano. Ma è anche il momento di guardare non solo alle cause delle proteste dei gilet gialli ma anche su come vengono esercitate.
Sarà uno dei discorsi più attesi degli ultimi anni: il presidente Emmanuel Macron stasera alle 20 si rivolgerà ai francesi in diretta tv dall’eliseo e molti pensano che dal tono — più che dalla sostanza — delle sue frasi dipenderà il resto del mandato.
Il capo di Stato annuncerà probabilmente nuove misure a sostegno del potere d’acquisto e altri provvedimenti fiscali a favore delle classi svantaggiate. Ma da tempo i gilet gialli non chiedono più solo il ritiro delle tasse sul carburante (peraltro sono già stati accontentati): la loro è una rivolta contro il carovita, una rabbia contro l’esclusione, una confusa ribellione contro la globalizzazione e i suoi simboli, come l’apple Store attaccato sabato a Bordeaux: vetrine distrutte in odio al capitalismo, ma iphone preservati e velocemente infilati negli zaini.
Accusato di essere arrogante e «presidente dei ricchi», Macron dovrà cercare di ristabilire una connessione con i francesi. Che però non sono certo tutti gilet gialli, anzi. Sabato in tutta la Francia sono scese in piazza 125 mila persone, e a Parigi erano solo 8000. Il presidente dovrà convincere che anche lui, come la maggioranza dei francesi, comprende le ragioni dello scontento, sapendo però che la stessa maggioranza dei francesi comincia anche a essere stanca degli incidenti e dei vandalismi e che la causa dei gilet gialli sta perdendo in popolarità. Macron accennerà forse a un pubblico «mea culpa» che secondo il Parisien il presidente ha già avviato venerdì scorso nelle stanze dell’eliseo davanti a circa 15 sindaci del dipartimento delle Yvelines. «Ci sono troppe imposte, troppe tasse, troppa fiscalità in questo Paese!», avrebbe detto Macron, prima di ammettere «scemenze» come la diminuzione degli aiuti per la casa o il passaggio del limite di velocità da 90 a 80 chilometri all’ora nelle strade statali (quest’ultimo a dire il vero un cavallo di battaglia più del premier Edouard Philippe che suo). Il presidente è chiamato da tutti a mostrare una nuova sensibilità più sociale, ma senza esagerare con le concessioni perché, nel frattempo, la natura profonda del movimento sta cominciando a definirsi.
Secondo un sondaggio Ipsos (commissionato dal partito di Macron), una ipotetica lista dei gilet gialli alle Europee prenderebbe il 12% dei voti, togliendoli però soprattutto a Marine Le Pen (estrema destra) e in misura minore a Jean-luc Mélenchon (estrema sinistra), certo non al partito di maggioranza. Poi, mentre sabato le auto bruciavano a Parigi, a Bruxelles l’ideologo dei populisti (e amico di Le Pen) Steve Bannon definiva i gilet gialli come «esattamente le stesse persone che hanno eletto Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016 e gli stessi che hanno votato per il Brexit». A Trump che da giorni twitta frasi sarcastiche sulle difficoltà di Macron, ieri il ministro degli Esteri Jean-yves Le Drian ha ricordato che «noi non facciamo considerazioni sulla politica interna americana e ci piacerebbe che fosse reciproco». La Difesa sta verificando intanto interferenze straniere attraverso i social che, secondo una società di sicurezza informatica americana citata dal Times di Londra, sarebbero di matrice russa.
Problemi di ordine pubblico a parte, la rivolta dei gilet gialli sembra alla fine solo un altro episodio della lotta teorizzata da Macron tra «progressisti» e «sovranisti», ed è improbabile che il capo di Stato annunci la resa stasera.