Corriere della Sera

«Serve il dialogo con imprese e Ue»

«Dalle politiche del governo dipendono le reazioni degli investitor­i che influenzan­o il risparmio»

- di Daniele Manca

«L’

Italia è solida e può farcela» dice l’amministra­tore delegato di Generali, Philippe Donnet. Ma serve «il dialogo con le imprese e con l'europa». Il governo deve «rassicurar­e gli investitor­i».

P hilippe Donnet dalle finestre del grattaciel­o Generali a Citylife allunga lo sguardo alla zona Fiera, all’expo e arriva fino al Monte Rosa. Attorno a quella che è diventata una nuova area di sviluppo c’è la Milano che grazie proprio alle infrastrut­ture si sta prendendo più di una rivincita anche a livello internazio­nale. «Questa è la città, l’italia che conosco e che mi piace», dice l’amministra­tore delegato del gruppo. In pochi anni una città che si è reinventat­a e che, come ormai si sente dire in Europa, sarà la Berlino del prossimo decennio. «Investire sul futuro è il nostro mestiere. Tenere al sicuro oggi i risparmi perché siano garanzia del futuro sia per gli italiani che per gli europei. Pochi sanno che come attività assicurati­ve in Europa siamo i primi ed è, se permette, un orgoglio nazionale».

In periodi di turbolenza come questa il futuro appare

La prosperità dell’italia dipende dalle imprese e dal lavoro. L’italia è l’unico Paese del G20 a non aver ancora recuperato il crollo del Pil in seguito alla grande crisi del 2008. Lavoro e impresa sono la priorità 

La compagnia

Le Generali non sono mai state così solide. Uno spread attorno a quota 300 non è la normalità

tutt’altro che brillante.

«Mi dica lei quando non ci sono stati periodi di turbolenza negli ultimi 10 anni…».

Ma adesso è innegabile che qualche refolo tendente a tempesta c’è.

«Lo sta dicendo a uno che di mestiere fa l’assicurato­re. La cosa che dobbiamo saper fare per natura è muoverci tra i rischi per proteggere i nostri clienti».

Diplomazia a parte, la preoccupa quello che accade in Italia, lo spread…?

«Dal punto di vista patrimonia­le di Assicurazi­oni Generali le dico di no. La compagnia non è mai stata così solida. Abbiamo appena presentato il nostro nuovo piano strategico, che è un piano di crescita e di sviluppo. Ma se pensassimo che uno spread attorno a quota 300 sia la normalità, una cosa di cui non preoccupar­si, saremmo poco accorti e poco attenti al bene dei nostri clienti. Ognuno deve fare il proprio mestiere e senza invasioni di campo. Vedo che la politica sta facendo delle riflession­i come chiunque di noi e spero che le preoccupaz­ioni espresse dallo stesso governo si tramutino in atti concreti».

Ma il Paese si sta indebolend­o intanto.

«Noi siamo felici di operare in Italia. È un grande Paese, e un mercato straordina­rio. Fare business in Italia presenta opportunit­à enormi, stiamo parlando della nona economia mondiale. Siamo leader nel settore assicurati­vo italiano e intendiamo restarlo a lungo. E sa perché?».

In questi momenti qualche certezza viene meno…

«Eppure a me colpiscono due cose in particolar­e dell’italia: l’imprendito­rialità dei cittadini e la solidità delle istituzion­i. Entrambi, cittadini e istituzion­i, sono resilienti ai periodi di difficoltà, alle crisi. Penso al presidente Mattarella e al suo profondo impegno per la stabilità dell’italia. Mi sento di dire che Generali resterà sempre un grande gruppo internazio­nale con testa qui, dove abbiamo radici profonde».

Ma lei ha passaporto francese…

«Mi sta chiedendo perché come francese mi appassiono e ci tengo all’italia?».

Esatto.

«Intanto sono un orgoglioso residente di Venezia! Le ragioni sono molte: lavoro per una grande compagnia internazio­nale basata in Italia; qui abbiamo 10 milioni di clienti, 13 mila dipendenti e 35 mila tra agenti e distributo­ri; l’italia è un Paese fondatore del progetto europeo e l’europa unita non può fare a meno dell’italia. E poi guardi: la forza delle Generali è la sua internazio­nalità, ma per noi sarebbe più difficile avere successo se l’italia fosse in una situazione di difficoltà prolungata. È per questo che è dovere di tutti noi, me compreso, dialogare e lavorare per il bene dell’italia».

Ma gli italiani sembrano impauriti.

«Vede, noi consociamo bene i nostri clienti. Il successo del business assicurati­vo, la sua resilienza alle crisi anche prolungate, la stabilità rispetto ad altri settori finanziari, deriva dal modello di business. Quando si compra un prodotto assicurati­vo — e oggi non parliamo più solo di polizze ma, per esempio, di servizi che includono la prevenzion­e di un incidente domestico o l’assistenza medica o il welfare aziendale — nella maggior parte dei casi questo avviene ancora oggi attraverso un’interazion­e umana con il cliente che oltrepassa le generazion­i».

Questo non significa che gli italiani non siano impauriti e che il governo dovrebbe esserne preoccupat­o.

«Mi permetta di fare un passo indietro».

Prego.

«Le famiglie per cui lavoriamo vogliono sentirsi protette, sapere che i risparmi faticosame­nte costruiti vengano investiti con cura da noi e poi restituiti quando occorre mandare un figlio all’università, o ristruttur­are la propria casa, oppure godere di un assegno previdenzi­ale più consistent­e e passare in modo sereno gli anni della pensione. Ebbene, noi vediamo che i risparmi sono in crescita e che allo stesso tempo cresce la necessità di valorizzar­li. Si badi bene, non stiamo parlando delle grandi ricchezze, ma dei risparmi delle famiglie. Finiscono nelle nostre riserve tecniche, che per il settimo anno consecutiv­o continuano a crescere, e sono pari a quasi 400 miliardi. Le gestiamo in modo prudente, non sono soldi della compagnia, sono soldi che gli assicurati ci affidano, in base non solo a un contratto, ma a un rapporto di fiducia».

In tutto questo il governo?

«Il governo ha un ruolo in quel rapporto, in un certo senso ne è il custode, perché dalle politiche del governo dipendono le reazioni degli investitor­i verso gli asset italiani e queste reazioni influenzan­o il risparmio».

Oltre che l’azione delle aziende e delle imprese, che in queste settimane hanno lanciato più di un grido d’allarme.

«Vede, conosco bene l’italia. Qui c’è un tessuto imprendito­riale di successo che sta non solo nelle tradiziona­li grandi aree industrial­i, ma in molte province. L’imprendito­rialità ha una diffusione più capillare rispetto ad altri Paesi, ed è un grande vantaggio. Queste imprese innovano e investono, e per farlo necessitan­o di un contesto favorevole, ad esempio in termini di fiducia nel futuro e di accesso al mercato dei capitali. E su questo lo spread incide: 100 punti di differenza possono mettere a rischio decine di miliardi di euro di finanziame­nti all’economia reale».

Allora c’è qualche ragione per essere preoccupat­i.

«La prosperità dell’italia dipende dalle imprese e dal lavoro. L’italia è l’unico Paese del G20 a non aver ancora recuperato il crollo del Pil in seguito alla grande crisi del 2008, e ora stanno emergendo alcuni segnali di rallentame­nto dell’economia a livello globale. Il governo sa queste cose, lavoro e impresa sono la priorità, ne va non solo dell’economia del Paese ma anche della dignità delle persone».

Adesso siamo sotto la lente dell’europa…

«Purtroppo l’immagine dell’europa è appannata. Ma secondo me non lo è l’ideale di Europa. In discussion­e c’è il modo in cui gli organi istituzion­ali europei hanno gestito le politiche economiche e sociali. In alcuni casi i cittadini che oggi manifestan­o disagio o disapprova­zione hanno motivo per farlo: hanno vissuto

sulla loro pelle le conseguenz­e di azioni sbagliate, o di non azioni. Si è visto in Italia, ma anche in Paesi a noi vicini come la Francia. Su questo i governi che chiedono il cambiament­o di certe regole europee hanno ragione. Ma ci sono anche i benefici permanenti che l’unione Europea ha portato al Continente: pace, stabilità, libera circolazio­ne di merci e persone e molto altro».

Ma la tendenza è a ritornare ognuno al proprio paesello…

«Io credo fermamente nell’europa, nel fatto che solo stando insieme sia possibile competere con la forza di aree del pianeta come gli Stati Uniti e la Cina. Che possibilit­à avrebbero, per esempio, l’italia o la Germania da sole di avere peso a livello geopolitic­o nelle grandi scelte che ci riguardano, nei trattati economici, nella stabilità della moneta? La Brexit è stata una vera delusione, un passo nella direzione opposta della Storia. L’europa unita è un progetto di fratellanz­a senza pari nel mondo e nella storia, ma soffre se i leader non riescono a realizzare quelle promesse su cui l’europa è nata: democrazia economica, giustizia sociale e inclusione, solo per citare alcuni dei suoi valori fondanti. Su questi valori si può — e si deve — costruire il ruolo di guida a livello globale che l’europa merita, e di cui l’italia non può che essere motore».

Dell’italia mi colpisce l’imprendito­rialità dei cittadini e la solidità delle istituzion­i. Entrambi sono resilienti ai periodi di difficoltà, alle crisi. Penso al presidente Mattarella e al suo profondo impegno per la stabilità del Paese  L’unione Europea L’italia è un Paese fondatore del progetto comune, l’unione non può farne a meno

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Ceo Philippe Donnet, 58 anni

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