Corriere della Sera

I Dioscuri e l’intesa svanita

- di Antonio Polito a pagina 8

Èdal 1961 che l’italia non veniva governata dal Viminale. Fino ad allora infatti, l’imponente edifico fatto costruire da Giolitti tra il Quirinale e Montecitor­io, come simbolo del nuovo potere nazionale, era stato per 35 anni la sede ufficiale della presidenza del Consiglio. Si può dunque scusare Salvini se, in un empito di protagonis­mo, si è sentito per un giorno primo ministro, quando domenica ha convocato attorno al suo tavolo le quindici sigle che rappresent­ano l’impresa in Italia, mettendosi alla destra il sottosegre­tario alla presidenza Giorgetti, in trasferta da Palazzo Chigi, e alla sinistra il capo di gabinetto: non per un vertice sulla sicurezza o sull’immigrazio­ne, si badi bene, ma sulla politica economica del governo, e su come correggerl­a, quasi a comunicare che al Viminale ormai la si dirige e la si coordina.

Normale che Di Maio l’abbia presa male. Nella Yalta con cui credeva di aver spartito le sfere di influenza, le imprese spettavano a lui: e del resto, se il suo ministero non fa lo «Sviluppo economico», che fa? Ha così lanciato una gara, una cosa un po’ da ragazzi a dire il vero, a chi ha l’elenco di sigle più lungo, «lui appena una decina, io trenta», e a chi ha il palazzo più importante, «lì si fanno parole, i fatti si fanno al Mise». Una reazione così stizzita da rivelare, lasciando cadere anche l’ultimo velo di pudore, ciò che tutti sanno: i due non vanno più d’accordo.

A Salvini, uomo del fare di nordica provenienz­a, non va più giù tutto il disfare dei Cinquestel­le, che appena sentono parlare di un cantiere mettono mano alla pistola; avverte sempre più sul collo il fiato del partito del Pil, che poi è quello che l’ha votato in Lombardia e Veneto, dove il sovranismo sì va bene, ma prima si lavora. E infatti ieri l’ha detto chiaro e tondo: se c’è un referendum sulla Tav, io voto sì.

A Di Maio, ragazzo del sud che tiene famiglia, più dello sviluppo sta invece a cuore l’assistenza, ed è con lui che infatti ce l’avevano le organizzaz­ioni delle imprese che hanno manifestat­o a Torino contro la paralisi e che Salvini, con perfida mossa, ha ricevuto al Viminale, praticamen- te dando loro ragione. Così i rapporti sembrano peggiora- re. Finora Salvini aveva mo- strato una certa comprensio- ne per la non facile situazione del suo gemello grillino, par- tito come azionista di maggioranz­a del governo e in sei mesi ridotto a junior partner pro tempore. Ma più si avvicinano Palazzo Chigi, dalla famiglia di banchieri senesi che lo acquistò nel 1659, fu sede della ambasciata dell’impero austrounga­rico e dal ‘61 è la sede del governo e la residenza del premier Palazzo Chigi Palazzo del Viminale Palazzo Piacentini le europee e più il leghista si fa ruvido. Qualche giorno fa ha detto addirittur­a che il contratto di governo, come tutti i contratti, si può sempre rivedere, mettendo così in discussion­e un vero e proprio tabù pentastell­ato, la foglia di Fico che copre l’innaturale rapporto con la Lega. Tant’è che nel M5S molti pensano Il Palazzo del Viminale, voluto da Giolitti come centro del potere esecutivo, fu sede dal 1925 della presidenza del Consiglio (che nel ‘61 si spostò a Chigi) e del ministero dell’interno che è ora di finirla, che Di Maio è troppo debole, che così si portano solo voti alla Lega, e che se proprio bisogna fare la concorrenz­a a destra allora meglio il Dibba, che ha il padre giusto. Tra i due poi, ogni tanto, si infila Conte, il quale comincia a provarci gusto a fare il presidente del Consiglio, andare a cena con Juncker

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