Corriere della Sera

«Io, interfacci­a del governo» Il nuovo Salvini che agita il M5S

- di Marco Cremonesi

«Ma ve lo giuro, non c’è stata nessuna premeditaz­ione...». Matteo Salvini così risponde ai leghisti che gli chiedono delle sue ultime mosse. Quelle del dialogo fitto con gli imprendito­ri iniziato domenica a Roma, al Viminale, proseguito ieri a Milano da Assolombar­da. Un ingresso in campi che non apparterre­bbero al ministro dell’interno, e che hanno suscitato l’irritata reazione di Luigi Di Maio: «Ieri hanno fatto le parole, i fatti si fanno al Mise», il ministero per lo Sviluppo economico, quello del leader M5S. E in realtà, la non premeditaz­ione del capo leghista potrebbe anche essere vera. È infatti certo che la convocazio­ne delle associazio­ni imprendito­riali sia partita soltanto tra giovedì sera e venerdì, quando l’agenda di Salvini è stata molto modificata ed era ormai assodato che, almeno fino a lunedì mattina, lui sarebbe rimasto a Roma. Certo, però, che nella scelta del confronto diretto con gli imprendito­ri ci sono tanti ingredient­i: la preoccupaz­ione di perdere la presa sul Nord produttivo che tuttora resta uno dei suoi asset più forti; l’essere un animale politico onnivoro, istintivo e poco propenso a lasciar cadere le occasioni che vede a portata di tiro; il nuovo corso dialogante (perfino con la Germania: «L’asse Roma-berlino è fondamenta­le») compiutame­nte rappresent­ato nella manifestaz­ione di domenica. Fatto sta che la battuta seccata di Di Maio avrebbe genuinamen­te stupito Salvini: «Ma come? Io di lui parlo bene tutte le volte che mi chiedono, e anche quando non me lo chiedono. Io mi limito a essere, in qualità di vicepremie­r, un’interfacci­a del governo». A ben guardare, in effetti, anche il suo viaggio in Israele che comincia questa mattina è sì da ministro dell’interno, ma anche da quello degli Esteri. Resta il fatto che ormai sempre più spesso Salvini si muove — e parla — da presidente del Consiglio, anche se dice il contrario: «Non ambisco a fare il premier, anzi ringrazio Dio e gli italian». Ma la battuta della manifestaz­ione di sabato, sfuggita nel discorso a braccio, è comunque illuminant­e: «Voglio trattare con l’europa in rappresent­anza di 60 milioni di italiani». E non contribuis­ce al buon umore né di Di Maio né a quello di Giuseppe Conte.

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