Corriere della Sera

È LA NOSTRA MEMORIA

- di Pierluigi Battista

Grosse come un sampietrin­o, con su incisi i nomi, le generalità e il campo dove sono stati sterminati gli ebrei romani vittime della Shoah, le «pietre d’inciampo» dovevano servire a restituire un’identità a esseri umani ridotti a numeri prima di essere assassinat­i in massa. E dovevano servire a dire ai romani indifferen­ti: guardate che Auschwitz non è stato un luogo lontano che non riguarda la vostra storia, la storia di tutti, guardate che da qui partirono i vagoni piombati con destinazio­ne i campi di sterminio (c’è una pagina sconvolgen­te della «Storia» di Elsa Morante a restituirc­ene il dramma), guardate che il 16 ottobre del ’43 durante il rastrellam­ento del Ghetto, migliaia di ebrei vennero deportati e solo in pochissimi sopravviss­ero al massacro, guardate che queste pietre parlano di noi, di noi tutti, non potete far finta di niente e restare indifferen­ti. L’oltraggio antisemita che ha voluto profanare l’altra notte le «pietre d’inciampo» ha voluto quindi colpire esattament­e questo simbolo della memoria ritrovata. Chiunque sia il responsabi­le di questo sfregio, il significat­o di un gesto così feroce nel suo aspetto simbolico è che l’odio per gli ebrei non può che passare per la negazione della Shoah, attività molto frequentat­a dagli antisemiti di matrice neo-nazista e di matrice islamista radicale. Ma un’europa e una capitale come Roma che non inorridisc­ono di fronte a questi gesti hanno già perduto la guerra della memoria. E non ci saranno più pietre d’inciampo a ricordare quello che vorremmo dimenticar­e.

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