I due italiani negli Usa e la sfida con i big data ai tumori del cervello
Iavarone e Lasorella: così attiviamo l’immunoterapia
NEW YORK C’è speranza di poter curare con l’immunoterapia anche i tumori al cervello. L’importante scoperta, spiegata in uno studio pubblicato ieri sulla prestigiosa rivista Nature Medicine, è frutto del lavoro di un consorzio internazionale di ricercatori guidato dagli italiani Antonio Iavarone e Anna Lasorella della Columbia University di New York.
«L’immunoterapia batterà i tumori entro il 2050», ha detto l’altra settimana Tasuku Honjo, co-vincitore del premio Nobel per la Fisiologia e Medicina 2018. «L’immunoterapia è senz’altro la cura più promettente e ha già ottenuto successo con certi tipi di tumore come il melanoma — conferma Iavarone —. Ma con i tumori al cervello finora non ha funzionato».
Il motivo, spiega lo scienziato italiano, è che nei tumori che colpiscono il cervello si infiltrano i macrofagi, un tipo di cellule che creano un ambiente negativo per i linfociti T, le cellule «buone» in grado di riconoscere le cellule tumorali come estranee e distruggerle, con l’aiuto della immunoterapia.
Il nuovo studio si è focalizzato su un tipo di tumori al cervello di cui fino a ieri non si sapeva alcunché: quelli sviluppati da pazienti affetti da Neurofibromatosi di tipo 1 (NF1), una condizione genetica non rara. Si stima infatti che un individuo su tremila nati sia affetto da NF1, i cui sintomi di solito sono macchie sulla pelle o altri problemi neurologici.
«Chi soffre di NF1 ha una predisposizione a essere colpito dai tumori del sistema nervoso sia periferico sia centrale: il 10-15 per cento si ammala di un tipo di tumore cerebrale chiamato glioma — spiega Iavarone —. Di solito questi gliomi sono accompagnati da molte altre complicazioni e non vengono operati, quindi non sono studiati». Ma da quattro anni il laboratorio di Iavarone e Lasorella è riuscito ad attivare una rete di 25 istituti di ricerca, università e ospedali nel mondo — dall’italia collaborano il «Besta» di Milano e il «Bambino Gesù» di Roma — che ha raccolto abbastanza materiale dalle biopsie per disegnare la mappa genetica di questi tumori. «In molti casi i pazienti sono bambini — precisa Iavarone — e per questo la ricerca, costata milioni di dollari, è stata in gran parte finanziata dalla Childrens’ tumor foundation».
La grande novità è aver capito che, diversamente da altri tumori al cervello, non si trovano i macrofagi nei gliomi di basso grado sviluppati da pazienti affetti da NF1 e per questo i linfociti T possono essere attivati dalla immunoterapia per combattere e fermare il cancro.
«È un risultato che alimenta l’ottimismo sull’uso della immunoterapia anche per altri tipi di tumore al cervello», dichiara soddisfatto Iavarone. E aggiunge che è stato possibile raggiungerlo grazie all’applicazione delle tecniche di analisi computazionale (Big Data) in medicina: ci hanno lavorato, fra gli altri, due matematici statistici dell’università del Sannio a Benevento, Michele Ceccarelli e Fulvio d’angelo, coautori dello studio. «La nuova frontiera della lotta al cancro è la ricerca a 360 gradi per trovare in tempo reale risposte cliniche a ogni paziente — sottolinea Iavarone —. Non esistono cure miracolose, ma stiamo andando nella direzione giusta». @mtcometto Giacconi, genovese di nascita ma milanese d’adozione, nel 1956 si trasferì negli Usa e negli anni 60 pose le basi dell’astronomia a raggi X tramite i primi rilevatori montati su razzi, con i quali scoprì la prima sorgente extraterrestre di raggi X: Sco X-1. Nel 1993 divenne direttore generale dell’european Southern Observatory guidando la costruzione del Vlt, il telescopio più grande del mondo. Grazie ai suoi studi nel 1999 fu lanciato in orbita il telescopio spaziale Chandra.