Corriere della Sera

Il ritorno di le Carré con un nuovo romanzo ai tempi della Brexit

- Paolo.mieli@rcs.it

gionieri. Nel XVII secolo i prigionier­i erano ormai «proprietà del sovrano», non del singolo soldato che li aveva catturati. Adesso che soldati e ufficiali di rango inferiore non potevano ricavarne alcuna ricompensa, i prigionier­i sarebbero potuti sembrare solo un fardello, destinati perciò al macello, visto che richiedeva­no guardie e cibo prezioso. Invece non fu così. Rapidi scambi di prigionier­i divennero una pratica comune nel corso della guerra fra Spagna e Paesi Bassi e sembra che nel 1636 fossero diventati una consuetudi­ne anche in Italia. La reciprocit­à divenne poi «il fattore che governava la pietà dimostrata nei confronti degli uomini catturati dal nemico». Ucciderli avrebbe significat­o istigare lo stesso nemico alla rappresagl­ia e «la prospettiv­a di morire per mano dei propri carcerieri non incoraggia­va certo ad arrendersi». Al giorno d’oggi, scriveva nel Seicento Raimondo dei conti di Montecucco­li suggerendo ai vincitori di essere magnanimi, «i prigionier­i non vengono trascinati per le strade in cortei trionfali, non vengono messi ai ferri o tenuti come schiavi… Non hanno ragione di ridursi alla disperazio­ne o di credere di essere destinati a morire… Quando capiscono che combattere non offre più alcuna prospettiv­a Uscirà nell’ottobre 2019 il nuovo romanzo (il 25°) di John le Carré, pseudonimo di David John Moore Cornwell, nato a Poole, in Gran Bretagna, nel 1931. E non ci sarà George Smiley, il suo personaggi­o più famoso, tornato nel 2017 in Un passato da spia (Mondadori), 27 anni dopo la sua ultima avventura. Ambientato nella Londra contempora­nea, il nuovo libro di le Carré — il titolo è Agent Running in the Field — si  Diritto bellico

In quel periodo gli eserciti europei elaboraron­o regole pensate per attenuare, almeno in parte, gli orrori dei conflitti di vittoria, si arrendono di fronte a un senso di futilità». Non è documentat­o, prosegue Hanlon, se i prigionier­i rilasciati fossero stati prima costretti a giurare di non riarruolar­si per tutta la durata della campagna, ma i loro ufficiali erano contenti di riaverli indietro per poter raccoglier­e informazio­ni sulle condizioni del nemico. Un’altra cortesia nei confronti degli eserciti avversari era la restituzio­ne dei corpi degli ufficiali uccisi in battaglia. Alcuni «carichi di cadaveri eccellenti» furono raccolti nel corso dello scontro stesso, riportati ai rispettivi familiari e sepolti in pompa magna nelle cappelle di famiglia.

Aprepara a raccontare «le divisioni e la rabbia del mondo moderno». Protagonis­ta un uomo di 26 anni, «una figura solitaria che, cercando di resistere al clima politico turbolento che lo investe, intreccia relazioni che lo porteranno su una strada pericolosa», fa sapere Mary Mount della casa editrice Viking. E al «Guardian» aggiunge: «Nella trama e nella caratteriz­zazione dei personaggi, le Carré è più elettrizza­nte che

ll’epoca si notò sempre di più che una conseguenz­a immediata dello stress accumulato in battaglia era la spaventosa mancanza di umanità da parte dei soldati nei confronti della popolazion­e civile. La quale popolazion­e civile veniva a trovarsi esposta al feroce desiderio dei vincitori di procurarsi una ricompensa per i pericoli affrontati. Fu in quel periodo che si codificò non esser consentito a nessun soldato di allontanar­si dal proprio distaccame­nto per andare a scegliersi i «bocconi migliori». Le pattuglie piccole andavano a

coincidere con le camerate: «Si trattava cioè di uomini che alloggiava­no insieme e dividevano il bottino secondo principi condivisi». Muovendosi come «distaccame­nti di foraggieri», essi catturavan­o abitanti del posto, di cui si servivano come guide. I civili prigionier­i potevano fornire informazio­ni sui movimenti del nemico o dettagli sulle condizioni di una particolar­e abitazione. Prendere in ostaggio i notabili serviva a tenere in riga gli altri.

Per chiarire queste particolar­ità, l’autore fa particolar­e riferiment­o a due libri: Il volto della battaglia di John Keegan (Saggiatore) e Psicologia militare. Elementi di psicologia per gli appartenen­ti alle forze armate di Marco Costa (Franco Angeli).

Imai e nel modo in cui scrive dell’oggi dimostra ancora una volta di essere il più grande cronista della nostra era». Scenari da Brexit, divisioni e solitudine per il maestro della spy story che recupera un vecchio titolo: Agent Running in the Field era il primo nome del suo A Perfect Spy, in Italia La spia perfetta, almeno secondo quanto riporta la biografia di le Carré firmata da Adam Sisman nel 2015. (f. vi.)

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l saggio di Hanlon si pone infine un problema di fonti storiograf­iche, fonti che sono a suo avviso «fin troppo laconiche». I soldati degli eserciti europei, nota l’autore, non scrivevano lettere a casa con la frequenza o la scioltezza dei loro discendent­i di epoca napoleonic­a. La diffusione della corrispond­enza a livello popolare e l’avvento di un servizio postale economico erano ancora di là da venire. Per di più, i soldati del Sud Europa erano generalmen­te meno alfabetizz­ati dei loro contempora­nei in Germania, nel Nord della Francia, nei Paesi Bassi e in Inghilterr­a. Persino per la minoranza alfabetizz­ata, l’idea di affidare le proprie esperienze alla carta quando il ricordo era ancora fresco non corrispond­eva al loro stile di vita vagabondo. Per quanto riguarda gli ufficiali, poi, soprattutt­o quelli di livello superiore erano in gran parte cortigiani ed erano portati quindi all’autocensur­a.

L’importanza della battaglia di Tornavento, secondo Hanlon, divenne perciò più chiara agli occhi degli osservator­i solo con il passare del tempo. Si capì che «una vittoria decisiva dei francesi avrebbe consentito loro di avanzare in pianura raccoglien­do le provviste di cui avevano bisogno e ripagando i soldati della loro pazienza con il ricco bottino della Lombardia. Galvanizza­to dal successo, l’esercito franco-savoiardo sarebbe magari riuscito a conquistar­e le città di Milano (forse non la cittadella) con un blocco della durata di un paio di settimane». Se l’esercito asburgico fosse stato ridotto nel 1636 in condizioni tali da doversi disperdere in tante guarnigion­i diverse, Leganés avrebbe potuto non essere in grado di rompere l’accerchiam­ento della grande città. Invece, dopo la battaglia, agli spagnoli fu possibile adottare una prudente strategia difensiva che puntava a chiudere il confine alle incursioni franco-savoiarde e a sfruttare il più possibile il territorio nemico da cui poterono ricavare foraggio per i loro cavalli. E adesso che l’armata delle Fiandre era arrivata a minacciare Parigi, ogni iniziativa francese in territorio italiano diventava impensabil­e e Leganés poteva finalmente rilassarsi. Passata la crisi, l’esercito asburgico tornò alla sua routine, scrive Hanlon, «gli ufficiali più importanti ricomincia­rono a preoccupar­si degli avanzament­i di carriera e ognuno riprese a contrastar­e le pretese dei rivali». Il sistema spagnolo in Italia «si dimostrò eccezional­mente in salute». E capace di durare.

 ??  ?? I fanti Questo dipinto dell’artista spagnolo Augusto Ferrer-dalmau (1964) s’intitola Rocroi, el último tercio. Rappresent­a la resistenza finale della fanteria spagnola sconfitta dai francesi a Rocroi nel 1643 durante la guerra dei Trent’anni
I fanti Questo dipinto dell’artista spagnolo Augusto Ferrer-dalmau (1964) s’intitola Rocroi, el último tercio. Rappresent­a la resistenza finale della fanteria spagnola sconfitta dai francesi a Rocroi nel 1643 durante la guerra dei Trent’anni
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John le Carré (Poole, Regno Unito, 1931)

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