Raj Patel: «Redistribuire il cibo coltivando la democrazia»
L’economista-attivista: per evitare guai peggiori serve lasciare il culto del Pil
migliori di stare al mondo. La partecipazione al sostegno reciproco può costruire comunità senza pregiudicare l’ecologia da cui esse dipendono».
Una distribuzione iniqua della ricchezza si ripercuote su un bene primario come il cibo e produce paradossi: la mancanza di cibo e il suo spreco, la fame e l’obesità.
«Oggi la povertà produce malnutrizione e sovrappeso, anche nella stessa famiglia. Se non ti puoi permettere di mangiare, rischi la denutrizione. Se puoi solo mangiare male, probabilmente potrai permetterti solo alimenti ricchi di calorie. Un modo per aumentare il consumo alimentare sano sarebbe aumentare il reddito. Ma alcuni dei lavori più sottopagati sono collegati all’industria alimentare, di conseguenza coloro che producono cibo non possono permetterselo».
Per The State of Food Security and Nutrition in the World 2018 le cause della fame nel mondo sono clima, conflitti e crisi economiche. Raj Patel (Londra, 1972) è un economista, studioso della crisi alimentare mondiale e attivista. Feltrinelli ha tradotto il suo «Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo». Interverrà il 7 maggio 2019
«Le tre C — clima, conflitto e capitalismo — sono correlate. L’agricoltura industriale è responsabile del 24% delle emissioni di gas serra, è stata un motore importante del cambiamento climatico, ma ne è anche vittima, specialmente nel sud del mondo. Il disfacimento delle comunità rurali nel nome dell’efficienza influisce su migrazione, sicurezza e fame futura».
Cosa suggerisce per costruire un nuovo sistema alimentare equo e sostenibile?
«Dobbiamo riconoscere l’emergenza dei lavoratori poveri nel mondo e adoperarci per porre subito fine alla fame. Dobbiamo anche rompere i monopoli alimentari, aumentare i salari nel sistema alimentare, interrompere le sovvenzioni all’agricoltura industriale e supportare la transizione verso l’agricoltura biologica. La ridistribuzione è una fase centrale di questi processi e questo si collega alle più ampie trasformazioni di cui avremo bisogno mentre ci allontaniamo dal culto della crescita del Pil, verso indicatori di successo che valorizzino il lavoro umano, la dignità e la rete della vita da cui noi dipendiamo».