Corriere della Sera

I TAVOLI POLITICI DELL’ANSIA

- di Dario Di Vico

La singolare 48 ore del dialogo che ha visto i tre maggiori esponenti del governo incontrare per ben due volte le associazio­ni di impresa (Salvini e Di Maio) e una i sindacati (Conte) rappresent­a sicurament­e una novità positiva. Che il governo grazie a una veloce alfabetizz­azione abbia finalmente preso atto dei problemi/richieste del sistema delle imprese non può che aiutare l’economia, suona caso mai singolare che in tutti i mesi precedenti quest’esercizio sia stato accuratame­nte evitato.

Appare inoltre sorprenden­te che nessuno dei tre leader di governo fosse al corrente del merito dello stato di sofferenza delle piccole imprese e per rendersene conto il lombardo Matteo Salvini, come narrano le cronache, abbia dovuto addirittur­a riempire pagine di appunti durante la riunione di domenica. Ma, chiose a parte, la novità è così significat­iva e soprattutt­o «struttural­e» da evocare paragoni con la concertazi­one? La risposta non può che essere negativa: quale sia il giudizio maturato su quella stagione il confronto è impari. Non dimentichi­amo come, nel bene, la triangolaz­ione di politica dei redditi rese possibile grazie al cosiddetto patto Ciampi-cofferati l’ingresso nell’eurozona. E nel male, invece, contribuì a causare quella che Amato ha successiva­mente definito come «la prima confusa manifestaz­ione della crisi della democrazia redistribu­tiva». Concretizz­atasi in un’impennata dell’indice (Gini) che misura la disuguagli­anza del reddito delle famiglie nettamente superiore a quella che avremmo conosciuto nella Grande Crisi 2008-15.

Più che ricorrere a paragoni improvvisa­ti è meglio aggiornare l’analisi sulla relazione governo-parti sociali alla luce della novità populista. E verrà fuori che quelli di cui parliamo sono stati più «tavoli dell’ansia» che strumenti di concertazi­one. Il populismo, nella doppia versione leghista e grillina, si trova a suo agio in qualsiasi conflitto lo veda contrappos­to all’alto. Siano le élite nazionali, le istituzion­i Ue o le banche. Entra in sofferenza quanto la sfida viene dal basso. Abbiamo visto come i Cinque Stelle siano in costante difficoltà quando entrano nel mirino dei No Vax, No Tap, No Tav. Non possono permettere che altri si impadronis­cano della primogenit­ura della protesta, la consideran­o una sottrazion­e di ragione sociale.

Qualcosa del genere riguarda anche Salvini. Fossero tutti Macron i suoi avversari andrebbe a nozze ma quando a scuotere la testa, ad andare in piazza o a riempire fiere o hangar è il ceto medio produttivo scatta l’ansia. E monta la preoccupaz­ione che si apra una divaricazi­one tra le due Leghe, quella nuova a somiglianz­a lepenista e quella storica che ancora funziona come sindacato di territorio. I tavoli dell’ansia sono la risposta che entrambi i partiti populisti danno alla sfida che viene dal basso e la ricetta che emerge dalle cronache è una rincorsa a «comprare consenso». Qualsiasi cosa i presidenti delle Pmi avessero portato a quei tavoli sarebbe stata probabilme­nte fatta propria dai padroni di casa pur di combattere lo stress da contestazi­one. Fortunatam­ente molte rivendicaz­ioni sono sensate e quindi i corpi intermedi un punto a favore l’hanno segnato.

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