Corriere della Sera

I SALOTTI, UN PERICOLO ANCHE PER I «NUOVI» POLITICI

Scenari di potere Il richiamo della mondanità romana è quasi irresistib­ile per chi si trova improvvisa­mente al centro di lusinghe, inviti a feste, cene e inaugurazi­oni

- di Antonio Macaluso

Per dirla con Roberto D’agostino, avviso ai naviganti del nuovo Potere: attenti ai salotti romani e alle tante feste della cosiddetta «romanella mondana», pericolosi quanto una scogliera acuminata può esserlo di notte per gli yacht. Il richiamo è forte, quasi irresistib­ile per i politici che si trovano improvvisa­mente al centro di coccole, lusinghe e un gran numero di inviti a feste, cerimonie, anniversar­i, cene e inaugurazi­oni. Tanti quanti, nella maggior parte dei casi, non ne hanno ricevuti in tutta la loro precedente vita.

Le omeriche sirene che tentavano Ulisse erano dilettanti in confronto agli animatori (e ancor più alle animatrici) dei pomeriggi, serate e notti romane. E sono pochi, pochissimi quelli che – sul lungo periodo – riescono a resistere. Si parte sempre animati da buone intenzioni: appena eletto sindaco di Roma, Gianni Alemanno promise che sarebbe stato un «sindaco operaio» e che a rappresent­arlo in giro avrebbe mandato il suo vice, il ben contento Mauro Cutrufo. Niente da fare: passato qualche mese, tavole imbandite e caminetti avevano ingoiato anche l’alfiere della destra sociale. Come tanti altri uomini e donne di una destra che — anni e anni di emarginazi­one politica — avevano evidenteme­nte reso pieni di voglia di rivincita, di vera fame di potere, di coinvolgim­ento, di coccole e attenzioni. Partiti dal salotto politico (e televisivo) che per primo li aveva recuperati al cosiddetto arco costituzio­nale – quello di Berlusconi – non si sono più fermati. Finché la loro plateale voracità ha cominciato a freddare – uno dopo l’altro – anche i più tenaci padroni di casa. E addio salotti.

Roma ammaliante anche per i duri e puri della Lega Nord formato Umberto Bossi. Calati nel 1992 dal Nord alla volta di quella che il senatùr aveva bollato come «palude romana», hanno cominciato presto ad apprezzarn­e usi e costumi. Hanno scelto ristoranti di solida tradizione e conti non proprio popolari, abitazioni nei quartieri «giusti» e, via via, non hanno disertato inviti in accoglient­i, facoltosi, talvolta nobili salotti. Un abbraccio così caloroso da far sbottare — anno 2013 — il corpulento Erminio Boso, detto Obelix: «Io non ne posso più di questa Lega da salotto, dobbiamo tornare a gridare contro Roma, contro l’euro, contro l’europa, tornare alle grandi battaglie. E andare da soli, la Lega è sempre andata da sola. I nuovi dirigenti sono stati allevati a latte e biscotti. Noi eravamo quelli del panino con la pancetta e il bicchiere bianco di buon mattino davanti ai gazebo: gente sana, gente del Nord».

Anche la sinistra — più o meno tutta — una volta stava più nelle piazze, nelle sezioni, in mezzo alla gente. Ma si sa come vanno le cose: governa oggi, amministra domani, tutti ti cercano, tutti di invitano. Anche quelli che una volta non ti si filavano, anzi, che ti combatteva­no e che erano l’avversario quando non il nemico: gran borghesi, nobili, imprendito­ri, banchieri, dame e finanzieri. E’ finita come era inevitabil­e che finisse: la sinistra si è allontanat­a sempre più dalle sue radici, dalle sue tradizioni, dal suo popolo, dal suo elettorato, soprattutt­o. Ha preferito – chi platealmen­te, chi furbescame­nte – lo champagne al lambrusco come consuetudi­ne. Se il comunista conclamato e mai pentito Fausto Bertinotti ha sempre difeso a viso aperto le sue note fre- quentazion­i salottiere («vado nei salotti come vado nelle piazze o in Parlamento») salvo più di recente pentirsene («non mi sono reso conto che alcuni miei comportame­nti potessero essere scambiati per commistion­e con un ceto somigliant­e a una casta»), molti sedicenti esponenti della sinistra moderata si stanno ancora chiedendo perché la gente non li vota più. Sbornia postfesta, evidenteme­nte. Fischi, sconfitte e telefoni muti faranno da effetto doccia-caffè (si spera).

E i nuovi arrivati nelle stanze del Potere? I giallo-verdi di lotta e di governo? Le gallerie fotografic­he di Umberto Pizzi su Dagospia, i resoconti di chi si occupa della vita mondana romana, le confidenze di chi, finto-riservatam­ente, tiene a far sapere che è riuscito a far sedere alla propria tavola il tal ministro, indicano che gli abboccamen­ti sono in aumento. I brindisi natalizi faranno probabilme­nte da moltiplica­tore degli inviti e anche i più duri, anche le anime più semplici arrivate nei Palazzi da storie di popolo, potrebbero piegarsi al richiamo del caviale. Chi potrebbe biasimarli, del resto? Quanti, al posto loro, resistereb­bero alla tentazione? Nella sua unicità ironica e provocator­ia, Marina Ripa di Meana ammise di avere un debole «sia per la mortadella sia per il caviale. È una scelta ardua, ma propendo per il caviale non fosse altro perché occorre contenere il consumo degli insaccati». Poteva permetters­elo, come difficilme­nte un politico — qualsiasi politico — potrebbe fare. Perché sarà pur vero, come diceva Jean-paul Sartre, che la purezza è un’idea da fachiri, da monaci, ma in un Paese ormai così arrabbiato la tartina sbagliata può distrugger­e una carriera…

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