Prestito d’onore agli universitari
Gli aiuti al via da febbraio: destinati a chi altrimenti rinuncerebbe agli studi o li interromperebbe
L’Italia è al penultimo posto in Europa per numero di laureati: il 26,9% contro la media Ue del 39%. Siamo ultimi nel tasso di passaggio dalle scuole superiori agli atenei (46%) e nell’incidenza dei fuori corso (48% nella laurea triennale, il 13,2% nella specialistica), mentre abbiamo il primato del tasso di abbandono, pari al 32%. E al Sud la situazione è più critica con un numero di iscritti che si riduce del 15% e «uscite anticipate» che salgono a oltre il 45%. Cifre che descrivono un confronto impietoso per il nostro Paese, una dispersione di talenti che incide sulla crescita e uno stop all’ascensore sociale. Non conforta che negli ultimi due anni le immatricolazioni siano salite del 5,1%: la situazione non cambia.
Più della metà delle rinunce agli studi universitari ha motivazioni economiche. Sostegni come le borse di studio sono poco diffusi e per contribuire a mantenersi in un caso su quattro si ricorre alla gig economy, «lavoretti» vari, che allungano la durata media del percorso in ateneo a 7,5 anni. Su questo terreno sfavorevole per il Paese il gruppo bancario Intesa Sanpaolo interviene con un’iniziativa che «vuole incidere in modo strutturale sulla situazione», sottolinea l’amministratore delegato Carlo Messina: da febbraio sarà a disposizione di tutti gli iscritti all’università un prestito d’onore che sarà accordato senza alcuna garanzia personale o familiare: fino a 5 mila euro l’anno per 5 anni per coprire le spese di studio, residenza, mobilità. Destinatari potenziali sono 1.660.000 ragazzi. A cui si aggiungeranno iscritti a master e dottorati di ricerca.
Alla base del prestito c’è un «patto sul merito», non di credito bensì di studio e responsabilità: bisogna mantenere un ritmo di almeno due terzi degli esami al semestre; conseguita la laurea, la restituzione scatterà due anni dopo e potrà avvenire con rate diluite fino a 15 anni, che potranno essere sospese per tre volte e senza oneri aggiuntivi in caso di estinzione anticipata. Il costo? Un esempio: la rata mensile su 10 mila euro da rimborsare in 15 anni è pari oggi (a un tasso del 4,97%) a 79 euro. Spiega Marco Morganti, responsabile della direzione Impact di Intesa, che il vincolo della restituzione potrà indirizzare gli studenti a scegliere facoltà che danno occasioni di lavoro in tempi più brevi e più remunerative. Ciò potrà significare un riequilibrio tra studi umanistici e tecnico scientifici, rispetto ai quali l’italia deve recuperare terreno.
Con l’iniziativa la banca dà dunque avvio al progetto Impact, annunciato in febbraio con il piano strategico e che si è dotato di un advisory board presieduto da Livia Pomodoro, ex presidente del Tribunale di Milano. Il programma mette a disposizione di chi ha difficoltà di accesso al credito finanziamenti per 1,25 miliardi. «Con una parte degli utili interveniamo sul sociale. Cominciamo con l’istruzione, cioè il futuro del Paese», dice Messina. Che sottolinea il peso del debito pubblico: «In Italia la spesa per l’educazione è pari a quella per gli interessi, in Europa è più del doppio, in Germania il quadruplo. Lo Stato destina 8 miliardi alla ricerca contro i 65 per remunerare il debito sovrano».
L’accoglienza da parte degli atenei è logicamente favorevole. Secondo Gaetano Manfredi, rettore della Federico II di Napoli e presidente Crui (la conferenza dei rettori), è «un’opportunità che consentirà a molti di poter scegliere se continuare gli studi: siamo di fronte a un’università di classe e bisogna intervenire». Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano, sottolinea che «bisogna valorizzare lo strumento anche per promuovere l’educazione al rischio: la famiglia non è più l’ammortizzatore sociale di un tempo». Giuseppe Catalano de «La Sapienza» di Roma spiega che così si mette al centro lo studente, protagonista che investe su di sé e sul Paese». E per Mirko Degli Esposti, prorettore vicario a Bologna, si tratta di risorse «necessarie per le università che vogliono concorrere in campo internazionale».
Utilizzeremo una parte degli utili per intervenire sul sociale. Cominciamo con l’istruzione, il futuro del Paese Carlo Messina
Pochi laureati
Nella classifica europea il nostro Paese è al penultimo posto per numero di laureati