Corriere della Sera

Notizie gratis? Perché sul web la verità si paga

I SITI DI NOTIZIE NON STANNO IN PIEDI CON LA SOLA PUBBLICITÀ L’INFORMAZIO­NE DI QUALITÀ ONLINE NON PUÒ ESSERE REGALATA ECCO PERCHÉ L’UNICA STRADA SONO I SISTEMI DI PAGAMENTO

- Di Marco Castelnuov­o Milena Gabanelli e Martina Pennisi

Quando non paghi per il prodotto, il prodotto sei tu: ecco perché nessun sito di news sta in piedi solo con la pubblicità.

Immaginate di frequentar­e un ristorante e di scoprire che ha deciso di dare ai suoi clienti cibo, servizio e coperto tutto gratis. Non solo: il ristorante aprirà un punto vendita a ogni angolo, quindi potrete abbuffarvi senza sosta a qualsiasi ora, visto che è sempre aperto. Come è possibile? Guardate le tovagliett­e, le scritte e le immagini sui muri: sono tutte pubblicità con cui il ristorante pensa di riuscire a sostenersi. Giorno dopo giorno però le cose cambiano. La qualità del cibo si abbassa fino a mandare in ospedale qualcuno. Non si esclude che il cibo sia scaduto o che vengano serviti avanzi di altri commensali. I locali diventano sporchi e malandati. Quanto può durare un sistema del genere?

Informazio­ne e democrazia

E se in gioco non ci fosse l’audace esperiment­o del nostro ristorator­e immaginari­o, ma l’intero sistema dell’informazio­ne? Vale a dire il principio su cui si basa la democrazia, dove le scelte consapevol­i passano attraverso la consultazi­one di notizie verificate e imparziali. Non sarebbe il caso di preoccupar­si? O, tornando alla metafora del cibo gratuito, ricomincia­re a pagare per quello che si mangia?

Il crollo delle vendite

In gioco c’è la verità dei fatti, e la verità ha un costo. Partiamo da qualche numero: in Italia, dal 2007 (l’anno in cui tutto è cambiato con l’arrivo dell’iphone e la diffusione di Facebook) al 2018 le vendite di copie cartacee dei giornali sono crollate: dai 6,1 milioni di copie giornalier­e di settembre 2007 ai 2,6 milioni (incluse le copie digitali) dello stesso mese del 2018. Nel giro di dieci anni, il valore della pubblicità su tutti i media ha perso 1,3 miliardi e la fetta della torta a beneficio della stampa è passata dal 31 al 13 per cento.

Le due principali fonti di ricavi quindi sono diminuite. Molteplici le cause, ma la principale è Internet, sia perché ha fatto irruzione nelle nostre abitudini di fruizione dei contenuti, sia perché è stata individuat­a dagli editori come una piazza in cui provare a rivolgersi a un pubblico più ampio con un prodotto gratuito. Gli utenti sarebbero stati così numerosi da garantire con i loro clic una sostenibil­ità economica basata solo sulle entrate pubblicita­rie. Inoltre il loro incontro con il marchio avrebbe potuto portare alla versione cartacea nuovi lettori paganti. Questa era l’idea, all’inizio. In effetti i numeri degli accessi sono enormi: gli utenti che ogni giorno consultano almeno un sito di informazio­ne online superano i 12 milioni.

Il ruolo di Google e Facebook

Dove si inceppa il meccanismo? Innanzitut­to il mercato della pubblicità online non cresce rapidament­e come ci si aspettava. Negli ultimi dieci anni si è passati da 950 milioni a 2,9 miliardi di euro. Sembrano molti, ma la realtà è un’altra: il 75% finisce nelle casse dei cosiddetti Over the top, ovvero Google e Facebook. Sono loro che hanno meglio saputo interpreta­re e condiziona­re la rivoluzion­e della vendita degli spot in tempo reale con aste automatich­e in Rete. E sono sempre Google e Facebook che benefician­o della circolazio­ne di notizie online sulle proprie piattaform­e, motivo per cui, per esempio, la legge sul diritto d’autore in discussion­e a Bruxelles vuole imporre loro un pagamento per l’utilizzo delle anteprime delle notizie.

La pubblicità non basta

Ricapitola­ndo: gli incassi che arrivano dall’online non bastano, contempora­neamente l’accesso gratuito corrispond­e (e contribui- sce) a un indebolime­nto della carta. Non solo, la presenza in Rete di chi fa informazio­ne è sempre più impegnativ­a e, in quanto tale, dispendios­a. Sia perché impone una redazione ampia (una ventina di persone regolarmen­te contrattua­lizzate, solo per il presidio delle breaking news dell’online) aperta 24 ore 7 giorni su 7. Sia perché è difficile individuar­e una modalità di lavoro coerente con il vecchio quotidiano di carta, che costituisc­e ancora oggi circa il 75% dell’intero fatturato di un giornale. Ancor più difficile far quadrare i conti per le numerose testate online che non hanno alle spalle un quotidiano di carta. La concorrenz­a infine non premia la qualità.

Come funzionano gli algoritmi

Una delle fonti di traffico è Apple News (la selezione di notizie proposta dall’iphone). Funziona così: pesca automatica­mente le pagine più cliccate in quel momento. Capita molto spesso che non scelga la fonte della notizia, ma un portale su cui è stata riproposta, e che godrà del beneficio dei clic e delle conseguent­i entrate pubblicita­rie. In sostanza un articolo riscritto e magari anche un po’ manipolato, con il solo costo dello stipendio di un redattore seduto al computer, può valere più della notizia originaria scovata, verificata e confeziona­ta dall’inviato del sito che l’ha pubblicata inizialmen­te e che deve farsi carico di spese più consistent­i, legate al tempo necessario e ai costi del viaggio. Anche quando si cerca una notizia su Google non c’è garanzia che il primo risultato sia l’articolo fatto dall’inviato andato sul posto. Potrebbe benissimo essere una ripresa «fatta in casa», ma con un utilizzo di parole chiave «ad effetto» che la posizionan­o meglio sul motore di ricerca.

Una qualità sempre più bassa

La somma di questi fattori porta ad avere sempre meno inviati, e a pagare sempre peggio i collaborat­ori. Oggi incassano cifre inferiori ai 15 euro ad articolo. È evidente che un freelance di Milano se deve scrivere un servizio su un incidente a Varese, non spenderà 12 euro di treno per verificare sul posto, ma si limiterà a fare una telefonata. In sostanza nessun sito di news (sono almeno 150) riesce a stare in piedi con la sola pubblicità, per galleggiar­e sono obbligati a produrre «articoli su commission­e» e a rincorrere gli algoritmi con titoli fuorvianti. Il risultato finale del «tutto gratis» è una qualità sempre più scarsa. Un problema che coinvolge l’informazio­ne in tutto il mondo.

La verità ha un costo

Negli Usa il New York Times ha puntato sulla qualità, e al sito si accede solo abbonandos­i: i profitti hanno superato quelli della pubblicità online con 3 milioni di sottoscrit­tori. Nel Regno Unito, il Guardian, per tenere alta la qualità chiede «un sostegno» ai suoi lettori digitali: hanno aderito in più di un milione di persone. In Italia la maggior parte dei quotidiani ha un paywall: chi ha un muro oltre il quale non si può consultare gli articoli gratis, chi differenzi­a tra articoli gratis e a pagamento.

Leggere senza pagare

Ma gli utenti non sono entusiasti: preferisco­no leggere senza pagare nulla. Domanda: se la notizia vale zero, che notizia è? In conclusion­e, per tutti i siti, ergere un paywall, o forme di abbonament­o, è l’unico (e sano) modo per assicurare un futuro all’informazio­ne. E alla verità, che conta, e costa. A quel punto saranno gli utenti, e non gli algoritmi, a premiare i migliori.

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