«Bloccata, al gelo e al buio La mia notte nella grotta»
Palermo, la speleologa recuperata a 100 metri sotto terra «Le voci dei miei amici mi hanno dato tanta forza»
«Adesso sto bene, mi sono fatta pure un giro in elicottero»: non ha perso l’ironia Giusy Campo, la speleologa 42enne appena arrivata in ospedale a Palermo con una gamba fratturata dopo una notte trascorsa a cento metri sotto le Madonie.
Un’intera notte in barella nelle viscere buie di Cozzo Balatelli, dopo l’angoscia a 100 metri di profondità fra i monti delle Madonie, dopo la lenta risalita e il salvataggio faticosissimo, ed eccola comparire a Palermo. Al pronto soccorso del Civico, davanti al padre arrivato dal loro paese, Brolo, con gli occhi sgranati sulla sua speleologa, Giusy Campo, 42 anni, un figlio di 13, separata, capelli corti e un sorriso che non t’aspetti, vedendo la gamba sinistra imbracata per una frattura scomposta: «Adesso sto bene, mi sono pure fatta un giro in elicottero...». Non perde la sua ironia questa ragioniera part time in uno studio privato, una passione per la speleologia scoperta da bambina quando, affacciandosi al balcone di casa a Brolo, dando le spalle alle Eolie e guardando lo spallone di Monte Cipolla, interrogava la mamma: «Che cosa c’è dentro la pancia della montagna?».
Con le sue escursioni ha risposto mille volte a questa domanda Giusy, correndo con gli amici da una parte all’altra della Sicilia, ma anche in Calabria e in Messico. Lo ha fatto sabato pomeriggio, arrivando con la sua auto da Brolo al punto X, un pianoro a due passi da Isnello, nella grotta che tutti chiamano l’abisso del Vento: «Un’escursione già sperimentata in passato. Una volta all’imboccatura ho portato anche mio figlio. Eravamo in otto sabato. Non correvamo rischi. Ma, dopo avere superato un cunicolo tortuoso e sei pozzi, devo aver messo un piede in fallo. Sono scivolata senza potermi reggere e ho avvertito un dolore fortissimo sopra la caviglia...».
Comincia così la brutta avventura che rischiava di trasformarsi in tragedia: «Al freddo, bloccata, senza forze laggiù al buio. Senza la prontezza di spirito dei miei accompagnatori e senza la professionalità di volontari e addetti al Soccorso alpino avremmo rischiato di raccontare diversamente le ore trascorse laggiù. Ma ho sempre avuto la certezza che con il loro aiuto ce l’avrei fatta. Due dei miei sette amici non mi hanno mai lasciata. Gli altri sono risaliti all’esterno della grotta per lanciare i messaggi con i telefonini, senza campo all’interno. Sapevo che occorreva tempo. Sapevo che bisognava attendere. C’era il dolore, ma c’erano anche gli antidolorifici e soprattutto le parole dei miei amici. Prezioso il loro conforto quando è cominciata la risalita. Io infagottata e loro a incoraggiarmi per 12 ore finché abbiamo rivisto la luce».
Mai un momento di panico, assicura parlando al figlio e alla sorella di poco più grande: «Conosciamo le dinamiche, sappiamo come affrontare le emergenze. Mi dispiaceva solo non potere comunicare con la famiglia, con mio padre, con questo mio bel ragazzo e non avere notizie di Sasha, la cagnolina...». Sorride informandosi sulla bastardina che ha salvato a settembre ai bordi dell’autostrada: «Qualcuno l’aveva abbandonata tra le auto della Palermomessina.
La cosa che mi dispiaceva di più mentre ero laggiù? Non poter parlare con mio papà e mio figlio
L’ho recuperata ed è diventata la mia ombra. Me la sono portata anche a Crotone per un corso speleo...».
Una delle tante trasferte, come quella di Sciacca, «sul monte Kronio con Luca Parmitano, l’astronauta. Straordinario. La simulazione di una missione su Marte... E poi il Messico per il cosiddetto Progetto Chapas, alla scoperta delle cavità...», quelle dove un tempo si celavano i guerriglieri del subcomandante Marcos. Centinaia di esplorazioni senza mai un incidente. Anche se un precedente c’è, come sottolinea il sorriso, beffardo e comprensivo allo stesso tempo del figlio, quando il nonno ricorda la prima frattura: «Si ruppe un piede scivolando la sera prima della nascita. Andò in sala parto con il sinistro ingessato».