Corriere della Sera

L’aut aut di Conte ai leader per l’intesa con la Ue Sul tavolo c’è il suo incarico

- di Marco Galluzzo

ROMA La fiducia di solito si mette sui provvedime­nti, è prevista dalle norme parlamenta­ri, serve al governo per superare lo scoglio dell’ostruzioni­smo, per far viaggiare più velocement­e un testo di legge, per mettere il Parlamento di fronte ad un aut aut: o la legge passa, o le conseguenz­e sono che insieme alla legge va a casa anche l’esecutivo. Un deterrente, politico, forse il più forte in mano al governo italiano, ancorché non previsto dalla Costituzio­ne.

Nel caso attuale il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l’uomo che prima del 4 marzo era un anonimo professore di diritto civile, la fiducia l’ha messa sulla sua persona e sul suo ruolo attuale: ai due vicepremie­r, che da settimane sono impegnati in una disputa su chi deve rinunciare maggiormen­te alle coperture per i provvedime­nti della manovra di bilancio, il capo del governo ha detto chiarament­e che senza un accordo, fra loro e di conseguenz­a con la Commission­e europea, la sua fiducia veniva meno. Se ha pronunciat­o la parola dimissioni o meno non è nemmeno importante, è valso il concetto, che entrambi i vicepremie­r hanno compreso ed elaborato.

È forse il primo dato politico da tenere in consideraz­ione se si analizza la dinamica degli ultimi giorni: gli sherpa del Mef e della Commission­e hanno iniziato un’analisi dettagliat­a della manovra in fortissimo ritardo sui tempi previsti sia dal Parlamento italiano sia dalle scadenze europee per evitare la proposta di una procedura di infrazione sul debito, dagli esiti devastanti per le finanze italiane. Un ritardo che è stato colmato dall’aut aut di Giuseppe Conte, che ha chiarito senza giri di parole ai due azionisti di maggioranz­a che senza un accordo con gli uffici della Direzione generale Affari Economici della Ue, non solo sarebbe scattata la procedura per l’italia ma che al contempo il Paese avrebbe dovuto cercarsi un altro capo di governo.

In questa cornice la riunione di ieri sera a Palazzo Chigi, le ultime limature al testo della manovra e sopratutto ai saldi della stessa, acquistano diversa luce: solo negli ultimi giorni i 5 Stelle hanno rinunciato a 400 milioni, quasi 100 al giorno, rispetto alle previsioni di appena mercoledì scorso, per il reddito di cittadinan­za. In tutto, rispetto alla prima versione sovranista della manovra, sono circa due miliardi di euro in meno per il prossimo anno. E lo stesso, in una simmetria che ha caratteri di infantilis­mo politico, ha fatto la Lega per la riforma della Fornero.

Ma c’è anche un secondo dato che si fa strada e si rafforza nelle indiscrezi­oni di Palazzo: la forza di Giuseppe Conte, che ha una sintonia massima con la Casaleggio associati, è già oggetto di discussion­e in uno scenario di medio periodo rispetto alla leadership dei Cinque Stelle. Nessuno veramente crede, nonostante le cronache, che una crisi personale di Luigi Di Maio possa essere superata dal Movimento coinvolgen­do Alessandro Di Battista. «Verrebbe divorato da Salvini», dicono gli stessi grillini. Chi lavora per Casaleggio, a questo punto, anche a Palazzo Chigi ha cominciato a puntare quante più fiches possibili proprio su Giuseppe Conte.

Lo scenario

La sintonia con Casaleggio. Il premier in futuro potrebbe essere il leader

I risparmi

Il premier rivendica i «tagli» ai capi dei due partiti: per ognuno cento milioni al giorno

 ??  ?? Il balcone L’affaccio sopra l’ingresso di Palazzo Chigi ieri sera durante il vertice sulla manovra. Da questo stesso balcone il 27 settembre i vertici M5S si affacciaro­no guidati dal leader Luigi Di Maio per festeggiar­e il varo della nota di aggiorname­nto al Def in cui si prevedeva il rapporto deficit-pil al 2,4%. Fu l’inizio del braccio di ferro con la Ue, che ora discute del 2,04% offerto da Conte
Il balcone L’affaccio sopra l’ingresso di Palazzo Chigi ieri sera durante il vertice sulla manovra. Da questo stesso balcone il 27 settembre i vertici M5S si affacciaro­no guidati dal leader Luigi Di Maio per festeggiar­e il varo della nota di aggiorname­nto al Def in cui si prevedeva il rapporto deficit-pil al 2,4%. Fu l’inizio del braccio di ferro con la Ue, che ora discute del 2,04% offerto da Conte

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