«Il giorno più difficile» La tregua Di Maio-salvini per il compromesso
La linea per convincere gli elettori di «non aver calato le braghe»
Per Luigi Di Maio il testo della «manovra del popolo» su cui si è discusso in notturna a Palazzo Chigi è l’inizio della svolta, la sconfitta dei «soliti noti» e la rivincita dei cittadini sulle élite economiche del Paese. Per Matteo Salvini è un grande risultato dell’italia, che «sarà di esempio anche a tutti gli altri governi e popoli europei».
Tanta enfasi oratoria, sciorinata ora dopo ora nella nervosa ed estenuante giornata definita da entrambi come «decisiva», nasconde il tentativo di mascherare l’evidenza della sconfitta, incassata in tandem dai due azionisti di maggioranza del governo. I quali hanno ben chiaro come, sul piano interno, il primo effetto del braccio di ferro con l’europa sarà ridisegnare equilibri e rapporti di forza alla guida del governo.
La rivincita dei tecnici sui
Prima e dopo Il prevertice tra il premier e i due vice Poi il confronto allargato con Tria
politici, a cominciare dal tanto bistrattato ministro dell’economia Giovanni Tria, puntellerà inevitabilmente il ruolo di Giuseppe Conte. Volato più volte a Bruxelles per trattare e placare e limare, il premier non potrà non acquisire maggiore forza e indipendenza rispetto ai leader dei partiti. E la conferma dei nuovi assetti che si profilano è il tono della moral suasion con cui Conte — nel prevertice con i suoi vice — ha chiesto loro di smetterla di litigare su ecotassa, pensioni d’oro, reddito e via elencando, per siglare la tregua. Sui tagli fino al 40% alle pensioni più alte Di Maio non arretra, mentre sulle auto, dopo che Salvini ha scandito per tutta la sera il mantra «niente tasse», si è raggiunto l’accordo.
Chi ieri ha partecipato agli incontri di Palazzo Chigi racconta il match come la sfida finale tra due squadre, che sottotraccia si fronteggiano da settimane. Da una parte Di Maio e Salvini, determinati a resistere fino all’ultimo secondo utile. Dall’altra Conte, Tria e i sottosegretari, intenti a esercitare l’ultimo pressing per tirar fuori dal cilindro un’idea condivisa che consen- ta di tagliare tre miliardi e mezzo senza abbattere i totem elettorali, reddito e quota 100. Il 2,4% del rapporto deficit-pil sbandierato da Di Maio a settembre dal balcone di Palazzo Chigi è un ricordo da ritaglio di giornale. Ora la battaglia della vita si gioca alla soglia psicologica del 2% e non sarà facile per Di Maio e Salvini convincere i rispettivi elettorati che il salto all’indietro al 2,04% è solo una questione di «zero virgola».
Anche per questo i due vicepremier hanno stretto un patto di non belligeranza, che consenta a entrambi di convincere gli italiani che nessuno di loro, per dirla con Salvini, abbia calato le braghe. «Di Maio cede sul reddito di cittadinanza», era il titolo che rimbalzava sul web ieri pomeriggio. Ma il ministro dell’interno, che avrebbe potuto incassare il vantaggio in termini di consenso grazie al ridimensionamento di una misura invisa alla base leghista, ha chiesto ai comunicatori del governo di smentire tagli alle
risorse per il reddito.
Per far vedere che la coppia non scoppia, i due leader hanno cominciato a parlare uno per conto dell’altro. Se Salvini avverte anche a nome del M5S che «non ci sarà nessuna nuova tassa sulle auto», sulle pensioni d’oro Di Maio usa lo stesso schema: «Il taglio sarà nella legge di Bilancio, confermo e straconfermo anche a nome della Lega». Formule che rivelano l’impegno a coprirsi le spalle a vicenda davanti a chi spera di lucrare sulla battuta di arresto degli avversari. «Di Maio e Salvini hanno fallito?», si chiede maliziosamente il dem Nicola Zingaretti.
Eppure il Capitano leghista è convinto di aver fatto miracoli per tenersi in equilibrio tra le esigenze degli italiani e la salvaguardia dei conti dello Stato, mettendoci il massimo del buon senso e della responsabilità. E adesso, avverte il ministro dell’interno, se la procedura di infrazione dovesse scattare lo stesso vorrà dire che qualcuno a Bruxelles si è messo in mente di abbattere il governo sovranista per scongiurare che diventi un modello per l’europa intera.