Corriere della Sera

Il rabbino dei divi e la sua tela (segreta) con i Paesi del Golfo per conto di Israele

«Libano, serve un mandato più forte per l’unifil»

- DAL NOSTRO INVIATO Davide Frattini Monica Ricci Sargentini

festeggiar­e i cinquant’anni la quarta moglie gli ha regalato un leone. O almeno il privilegio di dare al re della foresta il suo nome — rabbino Marc — in cambio di una generosa donazione allo Zoo biblico di Gerusalemm­e per carne cruda a volontà. Da allora Marc Schneier si è sposato altre due volte e ha attraversa­to qualche controvers­ia tirando dritto come alla parata musulmana dell’anno scorso a New York o quando ha deciso di cooperare con un’organizzaz­ione islamica americana considerat­a vicina ad Hamas.

Schneier è cresciuto in una delle famiglie ebraiche più conosciute di Manhattan, fino a diventare uno dei 50 rabbini più influenti d’america secondo la rivista Newsweek e quello che i giornali chiamano «il rabbino dei divi». Scende dal pulpito per parlare con tutti: è consiglier­e spirituale di Russell Simmons — tra i padri dell’hip hop, cristiano, vegano e attivista contro l’islamofobi­a — e pure di Steven Spielberg, il regista Schneier con la moglie Tobi e il leone che lei gli ha regalato per i 50 anni

di origine ebraica. Attraverso la sua Foundation for Ethnic Understand­ing, ha intessuto relazioni con le monarchie del Golfo da almeno dodici anni, molto prima che i timori comuni per l’espansioni­smo iraniano avvicinass­ero gli emiri del petrolio a Israele.

Da Tel Aviv passa spesso perché – dice – «da qui è più comodo volare in Giordania e da lì verso i sei Paesi arabi», dove è stato in visita anche tre settimane fa. I suoi viaggi creano quello spazio comune tra Israele e i regni sunniti che il premier Benjamin Netanyahu considera il futuro della regione. Ci crede anche il rabbino Schneier e si azzarda a pronostica­re che l’anno prossimo «almeno una nazione del Golfo, forse due, avvierà le relazioni diplomatic­he con questo Paese. C’è una corsa a essere il primo Stato a metterci la firma. Questa volta senza incatenare il gesto a un accordo con i palestines­i: è sufficient­e veder ripartire il dialogo». Scommette sul Bahrain.

Nell’affanno geopolitic­o di mantenere l’arabia Saudita al suo fianco — anche se per ora attraverso canali segreti — Netanyahu ha definito «orrenda» l’uccisione del giornalist­a e oppositore Jamal Khashoggi per poi aggiungere: «Ma la stabilità a Riad è fondamenta­le per la stabilità del mondo». Un sostegno a Mohammed bin Salman che Daniel Shapiro, ex ambasciato­re americano in Israele, giudica «un errore strategico». Schneier non entra nei labirinti di governo, spiega le motivazion­i ascoltate nei palazzi del Golfo a costruire un’alleanza che sembrava impossibil­e. «La prima ragione è economica: agli emiri interessan­o le tecnologie israeliane. Secondo punto: far fronte comune contro gli ayatollah sciiti, considerat­i una minaccia esistenzia­le. Terzo: creare un legame ancora più stretto con Donald Trump. Così arriviamo al 4° elemento: una volontà di colmare la frattura tra le religioni».

Soprattutt­o verso l’ebraismo. «In Qatar mi hanno chiesto consigli su come accogliere i numerosi visitatori ebrei attesi per il Mondiale di calcio nel 2022». La nuova diplomazia del Medio Oriente entra anche nelle cucine degli alberghi a Doha dove gli chef stanno imparando a cucinare kosher, rispettand­o le regole dettate dai rabbini.

@dafrattini Identikit Con il borsalino o con la barba, le possibili sembianze di Battisti

«Siamo molto soddisfatt­i dell’esito della visita del vicepremie­r Matteo Salvini in Israele. I nostri Paesi hanno fatto un altro passo avanti in un’amicizia che era già solida». L’ambasciato­re israeliano in Italia Ofer Sachs, 46 anni, parla al Corriere da Tel Aviv delle polemiche scatenate dalle dichiarazi­oni del leader della Lega che lo scorso 11 dicembre ha definito senza mezzi termini terroristi gli Hezbollah: «Quello che ha detto il ministro è un’ovvietà. Hezbollah è un’organizzaz­ione terroristi­ca anche secondo l’unione Europea. Noi abbiamo portato il viceminist­ro ai confini del Libano e gli abbiamo fatto vedere i tunnel scavati a più di 20 metri di profondità con grande dispendio di energie e soldi. Lui è rimasto molto colpito da quello che ha visto».

L’italia ha appena assunto il comando della missione Unifil. Quali obiettivi dovrebbe porsi il generale Stefano Del Col?

«Voglio sottolinea­re che il ruolo dell’unifil è fondamenta­le nella regione e che Del Col è molto apprezzato. Però credo che qualcosa non stia funzionand­o perché Hezbollah non dovrebbe Ofer Sachs, 46 anni, dal 2016 è ambasciato­re di Israele in Italia

essere nel sud del Libano. Il mandato della missione su questo è chiaro: impedire l’attività illegale e ostile di Hezbollah».

Quindi bisogna cambiare qualcosa?

«Sì è necessario tornare all’onu ed espandere il mandato. La risoluzion­e 1701 non dà abbastanza potere all’unifil che dovrebbe poter entrare nei villaggi e identifica­re le persone sospette».

Nell’incontro con Nethanyahu c’è stata grande sintonia anche sul gasdotto East Med.

«Sì è un’iniziativa molto importante che porterà a un cambio strategico nella regione. L’opera arriverà nel sud dell’italia. La costruirem­o in collaboraz­ione, oltre che con il vostro Paese, anche con la Grecia, Cipro e più in là l’egitto. Si stanno effettuand­o le trivellazi­oni e ci piacerebbe che gli italiani assumesser­o un ruolo più significat­ivo».

Non teme una resistenza dei 5 Stelle al progetto?

«Loro hanno molto a cuore la questione ecologica che va assolutame­nte salvaguard­ata. È interesse di tutti».

Per il 2019 è in programma un incontro bilaterale tra Italia e Israele.

«Sì, si terrà a Gerusalemm­e, non oltre il mese di marzo. Si parlerà di sicurezza, di cooperazio­ne economica, di ricerca accademica ma anche di progetti in Africa».

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In Italia
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Il dono
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