«Berta Isla» e il suo autore: le ragioni del successo
Javier Marías è impegnato nel suo nuovo romanzo. Non sa stare senza scrivere, a parte quelle temporanee pause di vuoto che si aprono dopo aver messo la parola fine, quando le vite che inventa riappaiono come fantasmi nella sua. Poi le presenze svaniscono, il lavoro ricomincia. Non conosce tutto quello che accadrà nella storia che ha pensato, ignora dove andare esattamente. Ma è impossibile perdersi, perché viaggia con una bussola della quale nessuno ha mai indovinato il funzionamento. In queste trame che possono mutare direzione — dove il tempo si arresta, il controllo «musicale» della prosa è perfetto e le digressioni ci fanno dire «sì, è così» — anche le persone risultano «sfuggenti e inafferrabili».
Sono questi i segreti principali del suo primato. Sono queste le chiavi di quello che si può definire il suo successo planetario, iniziato nel 1992 con Un cuore così bianco (2,3 milioni di copie in 26 anni, tradotto in 37 lingue) e cementato ora con Berta Isla: un libro — il titolo uguale nelle varie traduzioni, la donna che fuma, misteriosa, sempre in copertina — che sembra diventare una sorta di passaporto dei sudditi del regno di Redonda, lo stato fittizio (un’isoletta disabitata dei Caraibi) di cui Xavier I ha ereditato lo scettro immaginario.
E il Nobel? È sospeso. I fedeli di Marías hanno così vissuto senza ansia i primi giovedì di ottobre. Ma la profezia sussurrata ben venti anni fa dal grande critico letterario tedesco Marcel Reich-ranicki è destinata ad avverarsi. Si tratta di aspettare, come Berta Isla aspetta Tomás Nevinson la spia, immergendosi «nell’impremeditata quotidianità di cui godono senza problemi quasi tutti gli abitanti della terra». Alcuni di loro, però, tengono un libro in mano. Che può cambiare tutto.