Il ladro gentiluomo Redford in un malinconico poliziesco
Commedia che racconta un Paese dove c’era ancora spazio per il rispetto
Non poteva scegliere film migliore Robert Redford per chiudere la sua carriera d’attore: The Old Man & the Gun è un poliziesco malinconico e sornione, delicatamente e piacevolmente romantico, con un protagonista che è orgoglioso soprattutto di «avere uno stile». Proprio com’è l’attore oggi ottantaduenne e com’è il suo personaggio Forrest Tucker, un ladro simpatico e gentile che rapina piccole banche di provincia, usando molto più le buone maniere che la pistola. E senza dimenticarsi mai di andarsene con un bel sorriso!
All’origine del film c’è una storia reale — «quasi tutta vera» dice una didascalia — quella di un ladro che con due complici anche loro in là con gli anni (Danny Glover e Tom Waits) si presenta nelle filiali e con parole gentili, con un bel sorriso, solo mostrando una pistola nella fondina, riesce a convincere il dipendente di turno a riempigli la borsa di dollari. Non lascia tracce (perché si mette lo smalto sui polpastrelli), non scatena la polizia (perché non ruba grandi cifre) e regala ai derubati una parola gentile, a volte una specie di dichiarazione sentimentale: «Non faccia niente di stupido o avventato — dice mentre allunga la borsa da riempire — perché lei mi piace. Mi piace moltissimo. Anzi forse mi sto quasi innamorando di lei. Non mi spezzi il cuore». E se ne va, lasciando le sue vittime sorprese e compiaciute.
È evidente che un rapinatore così non poteva essere interpretato da un attore qualsiasi. Ci voleva un volto credibi- le, capace di accompagnare lo spettatore in questa storia (ambientata nel 1981) senza che niente fosse mai fuori posto, che qualcosa stonasse. E chi meglio di Redford poteva dare credibilità a un ladro gentiluomo?
Ispirato da un articolo del New Yorker di David Grann e sceneggiato dal regista David Lowery (che aveva già dimostrato il suo bel gusto inattuale con Il drago invisibile), il film sceglie di ridurre al minimo le scene dedicate alle rapine per concentrarsi su due altri personaggi: Jewel (una ritrovata Sissy Spacek), la donna che Forrest avvicina per sfuggire a un inseguimento della polizia e che poi inizia a frequentare, e John Hunt (Casey Affleck), poliziotto cocciuto che si mette sulle tracce di Tucker e resta affascinato dai suoi modi così poco tradizionali.
Tutto questo Lowery lo racconta coi ritmi distesi e calmi di una commedia sentimentale, non certo di un thriller adrenalinico. Spesso Redford e la Spacek sono inquadrati in primo piano, di lato, in modo da non nascondere le rughe e i segni dell’età ma dare l’impressione di rivolgersi direttamente al pubblico. E infatti i loro temi di conversazione sono soprattutto riflessioni sulla vita, sulla solitudine, sull’età, i figli lontani (o nel caso dell’uomo dimenticati), i desideri irrealizzati. Allo stesso modo quelli di Hurt con la moglie (Tika Sumpter) aiutano poco a «spiegare» la trama perché ruotano intorno al lavoro, alle frustrazioni che provoca, al senso del dovere, al gusto per gli impegni portati a termine.
Ne esce il quadro di un’america marginale, malinconica, disincantata, anche un po’ stanca, non ancora invasa dalla frenesia che caratterizzerà la fine del Novecento e l’inizio del secolo successivo. Un’america dove c’era ancora spazio per il rispetto, per l’essere gentiluomini (anche infrangendo la legge), dove il silenzio è una qualità da coltivare, il Paese che Redford ha raccontato spesso nei suoi film come attore e come regista e di cui è stato l’ultimo vero portabandiera, dentro e fuori lo schermo.
E così, seguendo le peripezie di questo «vecchio signore» che cerca di non perdere mai il sorriso attraverso le sue tante disavventure, che ogni volta trova la voglia di rimettersi in pista senza dimenticare di essere galante (che cosa sono le sue sedici evasioni se non il simbolo di una inarrestabile vitalità?), ti sembra di sentir parlare Redford in persona, campione di un cinema che non c’è più ma di cui resta fortissimo il ricordo e la nostalgia, paladino di un modo di essere di cui lui stesso svela il segreto: «A me non interessa guadagnarmi da vivere, a me interessa vivere».
Ispirato da un articolo del New Yorker di David Grann, il film sceglie di ridurre al minimo le scene dedicate alle rapine