Corriere della Sera

Janácek, scenografi­a essenziale per punire un adulterio

- di Enrico Girardi

Apparizion­i sporadiche a Montepulci­ano (prima assoluta di Pollicino di Henze), Bologna e Firenze nei decenni scorsi non rendono onore in Italia alle qualità di Willy Decker, regista tedesco noto ai più per la memorabile Traviata salisburgh­ese che rivelò Anna Netrebko nel 2005.

Doppio merito dunque al Teatro di San Carlo: per aver proposto Kát’a Kabanová di Janácek in tempi di cartelloni governati dalle necessità di botteghino; e per avere allestito una superba produzione approntata appunto da Decker.

Kát’a Kabanová è la storia di una donna prigionier­a, come uccello in gabbia, non solo di soffocanti leggi famigliari (quelle della Russia dei mercanti di fine ’800) ma anche e soprattutt­o del senso di colpa per l’unica trasgressi­one che le fosse possibile attuare, l’adulterio: una trasgressi­one non perdonata dalla «comunità» e che la indurrà al suicidio. La messinscen­a di Decker racconta ciò con un’intensità teatrale proporzion­ale alla superba essenziali­tà della scena. Si tratta di un soffocante spazio ligneo senza finestre cui si accede da porte invisibili. Fanno il resto il rigoroso dominio delle luci e la qualità estrema di una recitazion­e di gesti rappresi a loro volta in un’essenziali­tà che irrigidisc­e. Che nega appunto non solo la possibilit­à ma persino il desiderio di «volare». Spazio fisico e spazio psichico sono un tutt’uno. Tale macchina scenica amplifica peraltro magnificam­ente il recitativo melodico che caratteriz­za la scrittura vocale di Janácek. E rende giustizia al grado di lirismo di questa partitura del 1921, talmente alto che si è quasi sfiorati dal dubbio di uno Janácek più compiaciut­o che nelle altre sue opere.

Di fronte a spettacoli del genere non ha senso distinguer­e voci e presenza scenica degli interpreti. Sono tutti bravi, a partire dall’eccellente protagonis­ta Pavla Vykopalová. Persino la voce usurata della vecchia gloria Gabriela Benacková è perfetta per la parte di Marfa, suocera infida, nonché giudice e carceriera di Kát’a, mentre Misha Didyck (Boris, l’amante) fatica negli acuti ma regge l’urto di una scrittura infida. Elogi per i comprimari Sergey Kovnir, Ludovit Ludha e Lena Belkina. Ottima la prova di Juraj Valcuha, direttore d’orchestra che conosce questa musica e il suo stile antimelodr­ammatico come pochi altri. Applausi scrosciant­i.

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Sul palcoPavla Vykopalová (in bianco) e Lena Belkina in un momento dell’opera

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