Paris, Supergigante d’oro Trionfo ai Mondiali di sci
Con la sua sciata potente l’azzurro conquista l’oro nel superg Gli scappa una lacrimuccia. «Ma no, certo che sentire l’inno...»
AARE Nel solco tracciato nel 2007 — stessa pista e stessa specialità — da Patrick Staudacher, un outsider salito al soglio del re, Dominik Paris mette la sua sciata potente e conquista il titolo iridato del superg. Dodici anni dopo la storia si ripete in una splendente chiave azzurra, pur tra sfumature differenti: se «Staudi», ex compagno di Domme e oggi nello staff che lo allena, si era spinto ai confini della realtà a causa di un palmares poco rutilante, Paris ha vinto perché il suo trionfo è più che logico, in un’annata nella quale ha macinato la concorrenza a Bormio e a Kitzbuhel. Gli sci da gara gli erano arrivati solo martedì: se n’è fregato, grazie anche a un viaggio verso la Svezia meno problematico rispetto ad altri. Ha attaccato, ha cercato la velocità per sedurla con il suo fisico da Superman, ha sbagliato ma non si è disunito. Ha vinto. « Quale consiglio mi ha dato Staudacher? È un segreto! Lo dirò al prossimo italiano che trionferà qui. Tra dodici anni » . Un superg irresistibilmente rock, come i motivi che canta nella sua band Rise of Voltage. Una giornata formidabile che gli consegna finalmente l’oro. Un momento che scuote anche chi è compassato e prova a negare che non gli è scappata nemmeno una lacrima: « Non sono uomo di emozioni » . Falso: sceso dal podio, saltava come un grillo: « Ma no, saltavo perché faceva un freddo cane... Però sentire l’inno, confesso, mi ha emozionato » .
Pettorale numero 3, come Sofia Goggia. Scelta ancora azzeccata, «per intercettare l’ultimo spicchio di sole che avrebbe migliorato la visibilità su una pista resa tosta dalle onde». Serviva scendere... a modo suo («Com’è la mia sciata? Veloce»), serviva intrufolarsi nell’at- timo fuggente, perché il numero 1 — lo svizzero Beat Feuz, un favorito finito bastonato — non avrebbe avuto riferimenti, mentre dopo il rischio era di vedere male. «Ad un certo punto il cielo si è aperto e ho temuto: mai vissuto una gara così tirata» ammette Paris. Ma al destino aveva già dato. Ai Giochi 2018, dove aveva pure il 3 in discesa e dove Feuz l’aveva condannato alla medaglia di legno. Stavolta i centesimi sono stati alleati: nove l’hanno salvato da Kriechmayr che ha condiviso l’argento con Clarey, 38 anni (il medagliato più anziano ai Mondiali ), una dozzina di operazioni alle
spalle e un’umiltà da applausi: «Sono solo un buon sciatore, i campioni sono altri». Alludeva a Svindal e al Domme che ha fatto la differenza a metà e a tre quarti, azzeccando l’«all in» in due passaggi chiave e peccando solo nel finale: «Ho stretto molto una curva, mi sono mangiato 3-4 decimi». Avrebbe sofferto di meno, invece ha dovuto pazientare, assistendo al beffardo 4° posto di Innerhofer e al deragliamento di Mayer che concupiva il suo scalpo. «Sono l’erede di Svindal, cioè di un numero 1? Può essere».
Aspettando la libera, l’argento in discesa del Mondiale 2013 non è più solo. Evoluzione della « specie » delle medaglie e del Paris sciatore: « Che cosa è rimasto del Domme di Schladming? La faccia è la stessa, però la mente è cresciuta e poi sono più vecchio ed esperto».