«La vita, i libri Non sapere tutto è il segreto»
Javier Marías: «Non sappiamo tutto di noi e degli altri Ma questo preserva la curiosità. Nella vita e nei libri»
« B erta
Isla? Sto pensando a un seguito » : Javier Marías, che sarà a Milano l’ 11 febbraio per ricevere il premio de la Lettura, parla al Corriere.
In questa epoca « esibizionista » , dominata dal « rancore » , la situazione è « piuttosto tranquilla » almeno a Redonda, la piccola isola disabitata dei Caraibi divenuta un Regno di finzione ( che ha comunque i suoi duchi e i suoi ambasciatori) del quale Javier Marías ha ereditato lo scettro. « Devo però iniziare a pensare a un successore » , dice in questa intervista al « Corriere della Sera » alla vigilia del suo viaggio a Milano per il premio che ha vinto con Berta Isla ( Einaudi) nella classifica- referendum organizzata da « la Lettura » . Se Xavier I decidesse di abdicare, il mondo dovrà fare a meno dell’unico monarca di un Regno « liberale, nel senso migliore della parola, dove tutto è permesso, anche la cospirazione » . Rimangono i suoi libri, per fortuna. Perché il re di Redonda è anche uno scrittore molto amato, tradotto in decine di lingue, che ha esordito con I territori del lupo a diciannove anni e da allora non si è mai fermato. È infatti al lavoro, nella sua casa madrilena, seduto davanti ad una macchina da scrivere elettrica.
Violando il riserbo che circonda abitualmente i suoi progetti, Marías ci rivela che sta pensando di dare un seguito al suo ultimo romanzo perché ha « curiosità di sapere » che cosa accade a chi ( come Tomás Nevinson, il marito di Berta) « crede che la sua vita sia terminata » . Quando gli chiediamo infatti se gli sia mai venuto il desiderio di aggiungere qualcosa ad una storia, o addirittura proseguirla, piuttosto che fare riapparire altrove i personaggi, ci risponde: « Sì, mi sta succedendo ora. Nei romanzi il finale è il finale, è quello che l’autore decide. Nella vita non c’è altro finale che la morte. Nel finale di Berta Isla Tomás Nevinson sembra un uomo sconfit- to, abbandonato ai suoi orribili ricordi, e quasi sonnambulo. Ma ha solo una quarantina di anni e la sua vita dovrebbe continuare. Ecco perché non escludo di raccontare questo, ciò che accade a qualcuno che crede di essere finito. Si vedrà » .
Cominciamo naturalmente da « Berta Isla » e dalla sua grande fortuna critica. Non solo qui in Italia, dove Claudio Magris ha scritto sul «Corriere della Sera» che «come Musil, pure Javier Marías — anche se in senso diverso, più epico, più romanzesco — narra la realtà, le possibilità germinali in essa e, quando la conoscenza della realtà si fa incerta e lacunosa, le illazioni su ciò che è potuto, può e potrà accadere » . Le volevo domandare se uno scrittore può scoprire qualcosa che non sa sui suoi libri grazie ai critici, agli studiosi, ai lettori.
« Oltre a essere molto intelligente, Claudio Magris è enormemente generoso. Sono felice che qualcuno come lui e anche altri critici, studiosi e lettori apprezzino quello che scrivo. È una fortuna e un onore. Però, disgraziatamente, più passa il tempo e meno credo in quello che si dice o si scrive sui miei romanzi. Mentre sono al lavoro mi sembra sempre che siano brutti, e a volte continuo a pensare la stessa cosa anche dopo che li ho terminati, solo che poi lo faccio “leggermente, di sfuggita” per così dire, perché non penso quasi mai di nuovo a loro. Sono finiti, ormai restano come sono; sono pubblicati, ormai non c’è rettifica o miglioramento possibile; pertanto sono ormai “irrimediabili”, come lo è il passato in generale. Se il romanzo in questione ha un buon successo di critica o di vendita, me ne rallegro molto e ne sono grato. In caso contrario, lo accetto. Con questo voglio dire che, dopo quarantotto anni ( quasi) dalla apparizione del mio primo romanzo, quando ne avevo diciannove, non è che non possa scoprire qualcosa che viene segnalato con intelligenza o con acume da un critico o da un lettore. Certo che posso. La questione è che non mi interessa molto “scoprire” qualcosa su quello che ho già scritto » .
È accaduto sempre così?
« Quando ero più giovane ne vedevo l’utilità per le opere future. Ora ho la sensazione che l’apprendistato sia concluso. Pensare ai miei romanzi passati, sia pure al più recente, mi sembrerebbe un atto tanto narcisista quanto pensare a me, a quello che sono stato o a quello che sono. Non ho curiosità per me stesso, nemmeno per quello che ho scritto. Lo ho scritto meglio che ho potuto, questo è tutto. Ormai è come è, e un’opinione positiva non lo renderà migliore, né una negativa lo renderà peggiore » .
Il premio de « la Lettura » è andato l’anno scorso a «Tra loro» (Feltrinelli), il libro in cui Richard Ford racconta la vita dei suoi genitori. È possibile parlare invece nei suoi romanzi di un uso occulto, mascherato, indiretto o parziale della memoria familiare?
« Nei mei romanzi, come nella maggioranza di quelli che sono stati scritti nella storia, ci sono elementi inventati e elementi che provengono dalla mia esperienza o da vicende familiari. L’origine dei materiali è per me indifferente. Tutto è subordinato alla costruzione di una storia, e a un filtro letterario, che deve annullare le origini diverse. Io scrivo opere di finzione ( con l’eccezione di Nera schiena del tempo che comunque aveva poco di autobiografico) e attingo ad elementi diversi, come senza dubbio fecero Cervantes o Dickens con le loro, o Faulkner, o Conrad o Bassani. In più di un’occasione ho detto che non avrei mai scritto una autobiografia, né memorie, né un diario perché non ne vedo l’interesse. Se avessi condotto una vita eccezionale, o avventurosa, forse sì. Però non è questo il mio caso, o così mi sembra. Adesso ci sono troppi romanzieri dediti a raccontare le loro pene oppure — se non ne hanno sofferte — le loro cose di poco conto, le loro vite ordinarie o intercambiabili. Quando li leggo, e con poche eccezioni, mi annoio mortalmente. È come se a molti autori fosse stata data licenza di non immaginare. È da molti anni che ho detto che perfino il vissuto è necessario comunque immaginarlo per poterlo raccontare bene. Nell’epoca esibizionista in cui viviamo, forse non è strano che si stia producendo questo fastidioso fenomeno di persone incapaci di distinguere ciò che è interessante da ciò che non lo è. Quello che è accaduto a loro pensano che lo sia, solo per questo, perché è accaduto a loro. Non avrò mai un atteggiamento del genere » .
Al di là dell’intreccio legato al mondo del segreto, « Berta Isla » può essere letto a mio avviso anche come la storia di un amore ( quello della protagonista per il marito- spia Tomás Nevinson) che l’attesa, la lontananza forzata e il « non sapere » rende precario, doloroso. Ma non è forse questo il paradigma di tutti gli amori? Non dovremmo pretendere anche noi, sempre, che l’altro ci faccia posto «non più di quanto non decida o non desideri » ?
« Sì, certo. Come sa, parto dal presupposto che tutto e tutti sono inconoscibili. Che sappiamo pochissimo, con certezza, sia della storia, sia delle persone vicine, sia di noi stessi. In un matrimonio, d’altra parte, vedo questo più come una benedizione che come una maledizione. Se la persona più vicina rimane essenzialmente sconosciuta con il passare degli anni, significa che contiene ancora del mistero, che non è qualcuno “risaputo” che ormai non vale la pena di osservare né tantomeno guardare o ascoltare. È molto difficile essere attento ( sia nel senso di prestare attenzione che di essere “premuroso”) verso chi non risveglia più curiosità. Ci disinteressiamo delle persone che si possono prevedere, come lo facciamo dei romanzi che si possono predire. Per questo conviene non voler sapere tutto, non essere esaustivi, avere e subire segreti. Proprio il contrario di quello che fa troppa gente nella nostra epoca » .
«Berta Isla» è forse anche un romanzo sulla morte, nel senso che si può sostenere che in questo libro i morti si ribellano alla morte, come succede a Berta e Tomás, due vivi in un certo senso privati della vita. È possibile dire che la presenza tra i vivi di chi è morto sia un elemento del suo « pensiero letterario » ?
« Sì, senza dubbio. Mi è sempre risultato impossibile non continuare a contare su coloro che sono stati nella mia vita e non lo sono più. Spesso penso a chi è morto come qualcuno che da tempo non vedo, niente di più. Non si cancellano i sentimenti, l’amicizia, per l’“accidente” che una creatura amata sia scomparsa. Si continua a tenerla presente, si continua a contare su di lui o su di lei. Non solo nel passato,