Il Doge di Verdi per l’apertura del Petruzzelli
Dopo anni di turbolenze, il Petruzzelli torna a essere un teatro d’opera propositivo, come dimostra la produzione del Simon Boccanegra verdiano che ha aperto la stagione 2019. Il titolo è problematico e l’allestimento di Arnaud Bernard lo conferma, perché l’idea del teatro nel teatro non è sostenuta da un grado sufficiente d’invenzione registica. Ma musicalmente lo spettacolo fila perché orchestra e coro producono un’esecuzione di livello. Sono guidati da Jordi Bernàcer, direttore solido e attento ( gli manca solo lo slancio dell’interprete di maggior carisma) alle mille pieghe drammatiche dell’opera. Da salutare poi con ogni favore la prova di Luca Salsi, che per una volta non spinge a tutta ma interpreta per davvero, tratteggiando con cura i conflitti tra istinto e ragione propri del Doge genovese. Attorno a lui v’è infine un cast ben assemblato, che vede in Liana Aleksanyan, Giuseppe Gipali, Gianfranco Montresor e nel sempreverde Roberto Scandiuzzi le voci principali.
Si chiude così il cerchio delle inaugurazioni delle Fondazioni liriche italiane. Con un dato che fa riflettere: otto teatri d’opera su tredici infatti hanno aperto con un titolo verdiano. Senza discutere l’amore per Verdi, ci si domanda se il fenomeno sia un bene o un male. Se è frutto del pensiero che « italiano è bello » , va ribadito infatti che non di solo Verdi vive l’opera italiana. Se invece è frutto di un calcolo di botteghino, sembra che si tenda a dimenticare che il sostegno pubblico si eroga in ragione della diffusione della cultura musicale. Di tutta la cultura musicale, non solo di Verdi.