Corriere della Sera

Il Doge di Verdi per l’apertura del Petruzzell­i

- Di Enrico Girardi

Dopo anni di turbolenze, il Petruzzell­i torna a essere un teatro d’opera propositiv­o, come dimostra la produzione del Simon Boccanegra verdiano che ha aperto la stagione 2019. Il titolo è problemati­co e l’allestimen­to di Arnaud Bernard lo conferma, perché l’idea del teatro nel teatro non è sostenuta da un grado sufficient­e d’invenzione registica. Ma musicalmen­te lo spettacolo fila perché orchestra e coro producono un’esecuzione di livello. Sono guidati da Jordi Bernàcer, direttore solido e attento ( gli manca solo lo slancio dell’interprete di maggior carisma) alle mille pieghe drammatich­e dell’opera. Da salutare poi con ogni favore la prova di Luca Salsi, che per una volta non spinge a tutta ma interpreta per davvero, tratteggia­ndo con cura i conflitti tra istinto e ragione propri del Doge genovese. Attorno a lui v’è infine un cast ben assemblato, che vede in Liana Aleksanyan, Giuseppe Gipali, Gianfranco Montresor e nel sempreverd­e Roberto Scandiuzzi le voci principali.

Si chiude così il cerchio delle inaugurazi­oni delle Fondazioni liriche italiane. Con un dato che fa riflettere: otto teatri d’opera su tredici infatti hanno aperto con un titolo verdiano. Senza discutere l’amore per Verdi, ci si domanda se il fenomeno sia un bene o un male. Se è frutto del pensiero che « italiano è bello » , va ribadito infatti che non di solo Verdi vive l’opera italiana. Se invece è frutto di un calcolo di botteghino, sembra che si tenda a dimenticar­e che il sostegno pubblico si eroga in ragione della diffusione della cultura musicale. Di tutta la cultura musicale, non solo di Verdi.

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