Corriere della Sera

L’ARMONIA PERDUTA CON PARIGI

- di Sergio Romano

N ella storia dei rapporti italofranc­esi vi sono momenti di grande amicizia e di reciproca ammirazion­e. Dobbiamo alla Francia alcune pagine decisive del Risorgimen­to. Abbiamo combattuto nello stesso campo la Grande guerra. Ancora prima di costruire insieme la Comunità economica europea, avevamo creato nel marzo del 1947, a Torino, una Unione doganale. Vi fu persino un momento, fra il 1956 e il 1958, quando Italia e Francia, insieme alla Germania, lavorarono segretamen­te alla costruzion­e di un ordigno nucleare. Ma vi furono anche, nelle loro relazioni, invidie, gelosie, dispetti e una lunga serie di screzi e bisticci più o meno gravi. All’italia non piacque che la Francia vendesse i suoi Mirage a Gheddafi quando il leader libico, dopo la conquista del potere, aveva da poco costretto gli italiani a lasciare il Paese; e certamente non piacque a Berlusconi che la Francia di Nicolas Sarkozy aggredisse la Libia di Gheddafi nel 2011 e mandasse all’aria l’accordo che il presidente del Consiglio italiano aveva concluso con il leader libico a Bengasi nell’agosto del 2008. Ma alla Francia non piacque che il ministro degli Interni italiano, nel 2011, desse permessi di soggiorno a parecchie migliaia di migranti tunisini, ansiosi soprattutt­o di attraversa­re la Penisola per entrare in Francia; e al ministro Roberto Maroni non piacque che la polizia francese di frontiera, a Ventimigli­a, li restituiss­e all’italia nel giro di poche ore.

Queste sono soltanto alcune delle liti italofranc­esi che potrebbero essere elencate da un cronista delle relazioni fra i due Paesi. Esiste poi un campo economico e finanziari­o in cui Italia e Francia, in alcune occasioni, sembrano essere più avversari che partner.

Ma nessuno di questi episodi aveva avuto sinora l’effetto di incrinare pericolosa­mente i loro rapporti. I due Paesi erano legati da una antica affinità, da una reciproca ammirazion­e e soprattutt­o da un interesse comune: la creazione di una Europa unita. Quando nacque l’asse franco-tedesco, l’italia ebbe la sensazione di essere declassata, ma reagì dimostrand­o alla Francia che avrebbe potuto costruire, a sua volta, una solida relazione italo-tedesca. E in un’altra circostanz­a più recente, durante il governo di Paolo Gentiloni, ha cercato di dimostrare alla Germania che avrebbe potuto firmare con la Francia un trattato non troppo diverso da quello che legava Parigi a Berlino. Finché i giri di valzer (come un diplomatic­o tedesco chiamò quelli dell’italia prima della Grande guerra) restavano all’interno di uno stesso palazzo, niente avrebbe potuto pregiudica­re l’armonia dei suoi inquilini.

Il quadro è cambiato. Oggi l’italia è governata da due forze politiche che non amano l’unione Europea, non hanno veri interessi europei e non esitano a lasciare trapelare la loro ostilità per la Commission­e di Bruxelles. È persino lecito chiedersi se abbiano almeno interessi nazionali e se cerchino di misurare gli effetti della loro politica sul futuro della nazione. Ma i due partiti che formano il governo non hanno una politica estera italiana. Hanno soltanto politiche elettorali. Non credono all’europa, ma approfitta­no dei grandi

Affinità

I due Paesi sono stati legati da un interesse comune: la creazione di una Europa unita

progressi fatti dalla idea d’europa negli ultimi decenni per servirsi della sua maggiore istituzion­e democratic­a. Vogliono usare l’europa contro l’europa e fanno una politica che sembra consistere principalm­ente nel tentativo di creare al Parlamento di Strasburgo un gruppo parlamenta­re sovranista.

Il presidente del Consiglio è un galantuomo, ma è davvero Premier una persona

Differenza

Il quadro è cambiato: oggi l’italia è governata da due forze politiche che non amano l’ue

che permette al suo ministro della Difesa di annunciare il ritiro delle forze armate dall’afghanista­n senza informare il ministro degli Esteri? È Premier chi permette al suo vice-presidente del Consiglio di avere un amichevole incontro con gli esponenti di una forza politica che ha cercato di rovesciare il governo di un Paese alleato con violente manifestaz­ioni di piazza? Può essere leader dell’esecutivo di un Paese stimabile e affidabile chi è costretto a impiegare una buona parte del suo tempo a rattoppare gli strappi provocati dalle divergenze dei suoi vicepresid­enti? È italiano un governo che permette alla Francia di darci una meritata lezione di diplomazia e democrazia?

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