Corriere della Sera

Ergastoli per le stragi in Tunisia L’ira dei familiari delle vittime

I parenti dei turisti uccisi al museo del Bardo: ancora troppi punti oscuri

- Francesco Battistini

In memoriam: dopo quasi quattro anni, oggi al Museo del Bardo c’è una lapide con quell’epigrafe latina, due mani che si stringono, una colomba di pace e l’elenco dei 22 uccisi. Ad iustitiam: dopo un anno e mezzo, ieri al tribunale di Tunisi e sotto questa scritta latina, i giudici hanno letto la condanna di chi fece la strage. O per lo meno, dei complici: tre ergastoli e detenzioni varie, dai sedici anni ai sei mesi, nessuna pena di morte.

Un processo rapido, anche troppo: dieci udienze. Una procedura strana, che ha collegato il massacro del 28 marzo 2015 a quello di Sousse (tre mesi più tardi, 38 turisti ammazzati), per il quale sono stati inflitti altri quattro ergastoli. Mischiando un po’ pere con mele, imputati e conniventi. E per due sole ragioni: entrambi gli attacchi furono dell’isis e vennero organizzat­i da Shamseddin­e Al Sandi, fuggito in Libia e lì seccato (pare) in un raid Usa del 2016. «Il processo s’è tenuto in condizioni improbabil­i — protesta un legale delle vittime, Gerard Chemla —: non s’è capita la solidità dell’accusa, il movente e, in definitiva, chi ha fatto cosa».

Ci sono state 27 assoluzion­i, gente trascinata in aula solo perché follower di Al Sandi sui social, mentre una ventina di fiancheggi­atori sono stati rilasciati prima del processo. Alla fine, poco è emerso sulla cellula del Bardo: chi passò a un «tranquillo» operaio di 33 anni, Mahmoud Kechouri, le mappe dettagliat­e del Parlamento (primo obbiettivo dell’attacco) e del museo? Chi fece rientrare in sicurezza dalla Siria Jaber Khachnaoui, uno dei killer? E come fece a sparare con tanta precisione Yassine Laabidi, che era imbottito di droga e in pochi minuti colpì più di 50 persone? Per avere altra giustizia, gli inglesi si stanno facendo un loro processo a Londra. Per avere un po’ di chiarezza, i familiari dei morti francesi hanno ottenuto dai tunisini di seguire le udienze in videoconfe­renza da Parigi: «Un modo — hanno spiegato — per essere riconosciu­ti come vittime». Niente del genere è stato fatto per la memoria di Orazio Conte, Francesco Caldara, Antonella Sesino e Giuseppina Biella, i turisti italiani uccisi al Bardo. A Torino, c’è un processo civile contro la società che organizzò la crociera e dalla cui nave i quattro sbarcarono: la famiglia di Antonella ha rifiutato 150mila euro di risarcimen­to, ha perso e s’è vista pure condannata a pagare 30mila euro di spese processual­i. «Andremo in appello — dice il difensore, Renato Ambrosio —, Tunisi era un posto pericoloso e dimostrere­mo che i turisti andavano allertati». Come? «Lo disse all’epoca anche il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni: abbiamo chiesto che venga a testimonia­re».

 ??  ?? 18 marzo 2015 L’evacuazion­e di alcuni turisti da parte della polizia tunisina durante l’attentato al museo del Bardo
18 marzo 2015 L’evacuazion­e di alcuni turisti da parte della polizia tunisina durante l’attentato al museo del Bardo

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