L’AUTUNNO GELIDO DEL PATRIARCA BOUTEFLIKA CHI COMANDA AD ALGERI?
Il tramonto è cominciato da un pezzo ma l’ultima notte del Rais, per usare la prosa maghrebina di Yasmina Khadra, non è ancora arrivata. Abdelaziz Bouteflika, il fantasma d’algeri, si ricandiderà per la quinta volta alle presidenziali d’aprile. «È l’estremo baluardo per preservare il Paese», l’esaltano i suoi cortigiani che occupano l’ottanta per cento dei seggi in Parlamento. Un rudere consunto dal tempo, casomai, e sbrecciato dalla malattia. Invisibile al pubblico, per l’ictus che sei anni fa lo colpì e lo ridusse immobile su una sedia a rotelle. Ammutolito. Senza forze. A 81 anni, al comando da venti, il presidente s’avvia a vivere un’eterna vecchiezza. L’autunno gelido d’un patriarca imprigionato nel sarcofago del potere che non può abbandonare. Come l’ultimo Breznev. Peggio del triste Castro solitario y final. Mica per nulla fu un grande psicologo nato in Algeria, Boirac, a coniare per queste vite replicate un termine entrato nel parlar comune: déjà-vu.
Chi comanda davvero ad Algeri? Generali e polizia segreta, onnipotenti fratelli di Bouteflika e clan onnivori, potenti del gas e potentati del vecchio Fronte di liberazione, la retorica populista sulla Françafrique e l’attualissima guerra al jihadismo. Un regimetto così riservato e impermeabile, dal presidente ai ministri, da non avere nemmeno bisogno d’un account ufficiale su Twitter. La leggera brezza della Primavera araba s’avvertì anche qui, nel 2011, ma fu subito congelata con aumenti di salari e assunzioni nel pubblico. Ora la calma è piatta, quasi comatosa. E nulla è meglio del fantasma d’algeri per preservarci dal caos, garantire gli affari, stoppare barconi e terroristi, rassicurarci che di Libia ce n’è una sola. «Sarà un figliodì, ma è il nostro figliodì…», direbbe un Roosevelt di Bouteflika e della sua democratura. Lo si diceva anche di Al Sisi, quando faceva quel che gli pareva nella finta noncuranza del mondo. Poi sparì Regeni, in un tramonto del Cairo. E su quel Rais calò la notte.