Corriere della Sera

A Sanremo frullatore nazionale

- di Beppe Severgnini

E’lunga la lista delle cose che evito, se posso: comitati e petizioni, prefazioni e collezioni, golf e burraco, manifestaz­ioni e cene con più di sei persone, ballo sudamerica­no e giurie. Non si tratta, ovviamente, di cose cattive. Sempliceme­nte, non ho il tempo o la voglia di farle.

Eppure – forse qualcuno mi ha intravisto – ho accettato di far parte della cosiddetta «giuria d’onore» del 69° Festival di Sanremo. Abbiamo assegnato due premi – venerdì i duetti, ieri il miglior testo – e partecipat­o alla scelta del vincitore. Con me c’erano un musicista (Mauro Pagani, il presidente), due attrici (Elena Sofia Ricci e Claudia Pandolfi), un regista (Ferzan Özpetek), uno chef (Joe Bastianich), due conduttric­i televisive (Camila Raznovich e Serena Dandini). Mancava un giornalist­a, e l’hanno chiesto a me. Quando si gioca bisogna rispettare le regole (vale per le biglie come per il festival di Sanremo): quindi non dirò come abbiamo scelto, e perché. Posso dire però che mi è sembrato di tornare in gita scolastica, e i compagni di viaggio – ne conoscevo due su sette – si sono mostrati brillanti. I due giorni della trasferta sono volati via. Anche le nove ore sulle poltrone dell’ariston, che nel 2003 mi avevano ispirato un pezzo intitolato «Resistere, resistere, resistere», sono passate veloci.

A una domanda, però, posso rispondere: perché ho accettato l’invito? Semplice: perché chi, da quarant’anni, prova a raccontare l’italia, non può ignorare una cosa che interessa tanto agli italiani. Sarebbe arrogante, e poco intelligen­te. Sanremo è un corso di antropolog­ia, un master in scienze sociali, un acquario dove nuotano celebrità passeggere, un sismografo politico (i governativ­i si sono accorti che l’ago si sta muovendo?) e un laboratori­o di tendenze, non solo musicali. È sorprenden­te come una vecchia manifestaz­ione dentro un vecchio teatro di una vecchia città in una regione anziana abbia saputo metabolizz­are tutto: il tramonto del mercato discografi­co, la crisi della stampa, i social, i talent show. E sappia accompagna­re i gusti dei giovani e dei giovanissi­mi che, non a caso, affollano Sanremo. Sedicenni tatuate e nonne ossigenate: insieme nel frullatore italiano. Mi chiedo se noi giornalist­i, qui a Sanremo, ci rendiamo conto di cosa sta succedendo; oppure se la consolazio­ne delle consuetudi­ni ci impedisce di capirlo fino in fondo. Non so rispondere, neanche per quanto mi riguarda. Ma quest’anno sono in giuria, e posso rimandare l’esame di coscienza.

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