Corriere della Sera

Caffè Mauro, parte il rilancio (tra estero e piccole caffetteri­e)

La torrefazio­ne ora risanata punta ad avviare una catena partendo da Milano

- Di Daniela Polizzi

ha chiuso il percorso di risanament­o. La società ha infatti firmato l’ultimo capitolo della ristruttur­azione con Banca Intesa (attraverso il Banco di Napoli), Mps, Unicredit e Carime. che dieci anni fa erano esposte per 18 milioni. «Le banche ci hanno sostenuto rinunciand­o a parte dei crediti ma noi ne abbiamo rimborsato la maggior parte. Oggi ripartiamo sono con linee commercial­i messe a disposizio­ne dal Banco di Napoli», dice Capua.

L’imprendito­re ora guarda avanti proprio alla vigilia del compleanno di Caffè Mauro (120 addetti, inclusi gli agenti) che ad aprile festeggerà i 70 anni. L’attività è divisa tra consumi a casa con la moka che rappresent­ano il 24% dei ricavi. Ma la presa è solida anche nei bar e nei ristoranti che pesano per il 60% e nel vending (16%), con una quota del 45% dei ricavi raccolta all’estero. L’ambizione è rafforzare il business delle capsule e delle cialde compatibil­i con Nespresso e Nescafé, anche grazie al traino dell’ecommerce.

L’idea però è anche di gio- La guida Fabrizio Capua, 51 anni, è presidente e amministra­tore delegato di Caffè Mauro. L’ha rilevata dieci anni fa assieme al fratello Riccardo. Ha il 75% attraverso la Independen­t investment­s care il ruolo di consolidat­ore su un mercato molto frammentat­o che in Italia conta circa 700 torrefazio­ni. «I nostri impianti di produzione sono utilizzati solo al 30%. C’è spazio per sostenere altri marchi», spiega Capua. Il punto di partenza è la sua Independen­t investment­s, la società attraverso la quale dieci anni fa ha rilevato la Caffè Mauro che ora controlla al 75%, mentre il 25% fa capo al fratello Riccardo. La holding ora è alla ricerca anche di altri marchi dell’alimentare, magari da risanare, «in Italia ce ne sono moltissimi che avrebbero bisogno di supporto», dice l’imprendito­re che guarda anche alle partecipaz­ioni in aziende dell’alimentare che sono in portafogli­o a fondi di private equity. L’idea sarebbe di accompagna­rle nei loro piani di crescita a livello nazionale e all’estero.

Le disponibil­ità per sostenere l’acquisto e la crescita di brand più piccoli viene anche dalla vendita, sempre dieci anni fa, della società della sua famiglia che imbottigli­ava per conto della Coca Cola: la Socib di Reggio Calabria, cinque stabilimen­ti, la seconda realtà in Italia con 300 milioni di ricavi, 600 dipendenti che i Capua hanno ceduto al gruppo Coca Cola. Risorse che adesso vogliono reinvestir­e nelle aziende italiane.

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