Caffè Mauro, parte il rilancio (tra estero e piccole caffetterie)
La torrefazione ora risanata punta ad avviare una catena partendo da Milano
ha chiuso il percorso di risanamento. La società ha infatti firmato l’ultimo capitolo della ristrutturazione con Banca Intesa (attraverso il Banco di Napoli), Mps, Unicredit e Carime. che dieci anni fa erano esposte per 18 milioni. «Le banche ci hanno sostenuto rinunciando a parte dei crediti ma noi ne abbiamo rimborsato la maggior parte. Oggi ripartiamo sono con linee commerciali messe a disposizione dal Banco di Napoli», dice Capua.
L’imprenditore ora guarda avanti proprio alla vigilia del compleanno di Caffè Mauro (120 addetti, inclusi gli agenti) che ad aprile festeggerà i 70 anni. L’attività è divisa tra consumi a casa con la moka che rappresentano il 24% dei ricavi. Ma la presa è solida anche nei bar e nei ristoranti che pesano per il 60% e nel vending (16%), con una quota del 45% dei ricavi raccolta all’estero. L’ambizione è rafforzare il business delle capsule e delle cialde compatibili con Nespresso e Nescafé, anche grazie al traino dell’ecommerce.
L’idea però è anche di gio- La guida Fabrizio Capua, 51 anni, è presidente e amministratore delegato di Caffè Mauro. L’ha rilevata dieci anni fa assieme al fratello Riccardo. Ha il 75% attraverso la Independent investments care il ruolo di consolidatore su un mercato molto frammentato che in Italia conta circa 700 torrefazioni. «I nostri impianti di produzione sono utilizzati solo al 30%. C’è spazio per sostenere altri marchi», spiega Capua. Il punto di partenza è la sua Independent investments, la società attraverso la quale dieci anni fa ha rilevato la Caffè Mauro che ora controlla al 75%, mentre il 25% fa capo al fratello Riccardo. La holding ora è alla ricerca anche di altri marchi dell’alimentare, magari da risanare, «in Italia ce ne sono moltissimi che avrebbero bisogno di supporto», dice l’imprenditore che guarda anche alle partecipazioni in aziende dell’alimentare che sono in portafoglio a fondi di private equity. L’idea sarebbe di accompagnarle nei loro piani di crescita a livello nazionale e all’estero.
Le disponibilità per sostenere l’acquisto e la crescita di brand più piccoli viene anche dalla vendita, sempre dieci anni fa, della società della sua famiglia che imbottigliava per conto della Coca Cola: la Socib di Reggio Calabria, cinque stabilimenti, la seconda realtà in Italia con 300 milioni di ricavi, 600 dipendenti che i Capua hanno ceduto al gruppo Coca Cola. Risorse che adesso vogliono reinvestire nelle aziende italiane.