Tradire, forse sognare E poi, sul confine, s’apposta il senso di colpa
Marco Missiroli gioca con il desiderio. Di lui, di lei, di tutti gli altri
Carlo si voltò verso gli studenti. Sofia si stava sistemando in seconda fila e aveva tirato fuori il taccuino e le mandorle. Era più giovane dei suoi ventidue anni, per il viso minuto, e per i movimenti gentili che mitigavano i fianchi, così inaspettati. Lo guardò, aveva la stessa apprensione di quando il rettore li aveva convocati per essere stati sorpresi da una matricola nel bagno del piano terra: lui sopra di lei, le mani che le carezzavano il collo, o qualcosa del genere, visto che la versione della matricola era stata una, un’altra, innumerevoli, tutte a irrobustire la voce per cui il professor Pentecoste e una sua studentessa avevano avuto un incontro ravvicinato di natura ambigua.
Non iniziò la lezione, indossò la giacca e uscì dall’aula, scese le scale, rallentò nell’atrio e si girò verso il bagno. Era tornato lì per fare chiarezza con un collega, era tornato con il rettore. E per ognuno aveva inscenato la ricostruzione di quello che chiamava il malinteso: l’entrata nella toilette degli uomini, la pisciata, l’uscita nello spazio comune, il lavaggio delle mani, della faccia, l’asciugatura, aver sentito un tonfo provenire dalla toilette delle donne, aver notato che la porta era socchiusa e aver trovato la sua studentessa Sofia Casadei quasi svenuta — per «quasi» cosa intendeva? Si era chinato su di lei e l’aveva chiamata per nome più volte, aiutandola a sedersi e a rialzarsi — al rettore aveva indicato come —, tenendola per un istante appoggiata all’angolo. Era durato non più di qualche minuto, poi la ragazza si era ripresa e lui l’aveva accompagnata a sciacquarsi il viso: non si era mai accorto della matricola.
Carlo guardò sua moglie, ed ebbe lo stesso dispiacere di quando l’aveva raggiunta in salotto, un martedì sera di gennaio. Margherita stava guardando Ritorno al futuro e lui le aveva detto:
— C’è un problema all’università.
— Che genere di problema?
— Con uno studente — il genere maschile gli era venuto con naturalezza.
— Perché me lo stai raccontando?
Lui era rimasto zitto un attimo. — Perché non ho niente da nascondere.
— Nascondere cosa?
Le aveva raccontato la sua versione dei fatti. Lei aveva intrecciato le braccia. — Sembra quel romanzo.
— Quale romanzo.
— Il sudafricano, il Nobel.
— Mi stai accusando.
— O l’altro romanzo. — Lo aveva guardato: — Com’era l’incipit? Luce della mia vita, fuoco dei miei lombi.
Lui si era seduto sul divano. — Speravo nella tua intelligenza.
— E io nella tua.
Margherita misurò la perdita di suo marito mentre stava per entrare in agenzia.
Era certa che se avesse continuato con Andrea avrebbe esposto il suo matrimonio all’infrazione. Ebbrezza, avrebbe detto Némirovsky. Aprì la porta, disinnescò l’allarme e andò in bagno. Lo scandì davanti allo specchio: — Sei un’adescatrice di ventiseienni.
Si sentì diversa, più salda, e seppe che il suo reale spavento era perdere Carlo dentro di sé poco alla volta. Per questo gli aveva rivelato di Andrea prima dell’orgasmo, sperando che la confidenza mettesse in comunicazione i loro compartimenti stagni. Del resto, cosa avrebbe tolto un corpo nuovo al suo matrimonio? Magari non le sarebbe piaciuto nemmeno. Magari avrebbe fatto scaturire nuova linfa miracolosa per il loro sentimento. Quanto detestava la psicologia da due soldi: riportare il tradimento all’infelicità. Lei avrebbe tradito per le spalle larghe di Andrea. Per il suo sedere. Perché era giovane. Perché era timido e lei poteva fargli scoprire qualcosa di sé. E soprattutto: per il desiderio che il ragazzo aveva di lei. Vedersi desiderata in un modo primordiale, come prima dei fidanzamenti e degli altari e delle case acquistate con i mutui. La sua disfatta non era l’ammissione del fermento, lo stava ammettendo, piuttosto quella di non accettare il compromesso: che lei potesse toccare il fisioterapista ma suo marito non potesse toccare le altre. Si era rivelata una donna despota e non aveva nessunissima intenzione di fare passi indietro. Aveva smussato il fastidio per il malinteso del bagno, era ben lontana dall’averlo accantonato. Andrea era la ricompensa? Andrea era una voglia.
Gli aveva scritto e lui le aveva risposto in modo composto, tranne per i puntini di sospensione che chiudevano la frase in cui le diceva che si sarebbero visti lunedì per la fisioterapia. Una volta Carlo le aveva detto che i puntini di sospensione sono una debolezza: gli scrittori li usano se vacillano sulla pagina. Poi aveva letto Avventure della ragazza cattiva, e si era resa conto che i puntini volevano dire altro. Le anime di Vargas Llosa li usano come preliminari di rivoluzioni. Tre puntini per un’intesa amorosa. Tre puntini per una sommossa politica. Tre puntini per sedursi. Così aveva chiamato Andrea. Avevano parlato della ferita alla mano e della sua gamba, lo aveva invitato per un caffè sabato o domenica. Lui le aveva risposto che andava bene…
La fame, l’inquietudine Voleva capire fino a che punto poteva spingersi Cos’era quest’ossessione? Disporre di un corpo nuovo, un corpo capace Capire se questa volta ne sarebbe stato in grado Si era dissolto il terrore di essere scoperto, come se fosse diventato un suo diritto
Al risveglio, in Carlo, la prima immagine fu Margherita e il fisioterapista. Lei stesa su un lettino, le gambe schiuse, il ragazzo che le massaggiava l’interno coscia. Il piacere soffocato di lei, il ragazzo che non riusciva a tratte-
nersi — come avrebbe potuto? — sfiorandola un poco dove non era lecito sfiorarla. Carlo sgattaiolò fuori dalla camera e andò in bagno, si lavò in fretta, raggiunse il cucinino e preparò la moka per Margherita. La lasciò da parte e addentò una fetta biscottata integrale, masticava calmo osservando l’angolo del tavolo, le ultime bollette pagate da inserire nel faldone, gli occhiali da lettura e il flacone dell’antistaminico, una piantina grassa, il cellulare di sua moglie sotto carica. Il cellulare di sua moglie. Si distrasse appuntandosi una possibile spesa al supermercato, riponendo nello zaino le bozze corrette degli impaginati sul Marocco, poi uscì di casa: come avrebbe reagito se avesse letto nel telefono di lei gli stessi messaggi che lui aveva indirizzato a Sofia? Camminò lento per via Montevideo, costeggiò parco Solari con i cani euforici dopo una notte in cuccia, seguiti dai loro padroni assonnati, scrutò la gioia in quegli animali senza guinzaglio e comunque fedeli.
Come avrebbe reagito se avesse saputo che Margherita aveva un altro uomo? Abbandonò il parco e scansò quell’interrogativo, si lasciò andare alla certezza che l’allerta per Sofia stava prendendo una forma diversa. Il suo ritorno a Rimini, non trovarla più in classe di lì a tre giorni, era una disfatta che ora poteva assorbire. A patto di non rintanarsi in Margherita. Aveva esteso il desiderio oltre il suo matrimonio, se avesse tentato di riconfinarlo avrebbe finito per vivere sua moglie come ripiego. Margherita era la felicità, lui lo avvertiva con certezza. Ma ora avvertiva anche una zona franca venuta a delimitarsi in modo solido, capriccioso, inconfutabile: questa parte della sua mente sprigionava energia ogni volta che sfiorava l’idea di Sofia. Sofia adesso, chissà chi in un futuro. L’altra felicità.
Margherita raggiunse Sofia. — Posso parlarti?
Sofia poggiò la penna. — Io?
La moglie annuì.
Sofia si tenne al grembiule, poi sfilò accanto alla cassa e si diresse verso la porta. La moglie ringraziò Khalil e la seguì, si ritrovarono nello spiazzo di ciottoli, cento metri più avanti cominciavano i muri della Statale.
— Sei Sofia e frequenti il corso con il professor Pentecoste.
Annuì.
— Volevo conoscerti — la moglie appoggiò a terra la borsetta e lo zaino, si portò via i capelli dagli occhi. Capì che assomigliava alla Lisi dallo sguardo, rideva anche quando era serio. — Volevo chiederti la tua versione.
Due ragazzi le sfiorarono entrando nella caffetteria. — La mia versione di cosa.
— Ti prego.
— Oh — mormorò lei, e si accarezzò un lembo del grembiule.
— Il professore ha già detto che.
— Tu — la moglie la interruppe. — Dimmelo tu.
— Mi sono sentita poco bene e lui mi ha aiutata.
— Davvero.
— Davvero.
— E prima, prima cos’è successo.
La foschia si era dissolta, dava l’impressione che potesse scendere di nuovo. — Prima quando?
— Prima del giorno del bagno.
— Normale.
— Normale cosa vuol dire?
— Le lezioni, qualche volta ci ha portato fuori per i racconti da correggere. — Un border collie e il suo padrone le passarono accanto. — È il suo metodo.
— Il metodo Pentecoste.
Sofia guardò il border collie, annusava una coppia di cani a ridosso dell’aiuola. — Il professore ci porta in un luogo significativo e —. — Fa una lezioncina lì.
— Sì.
— Dove ti ha portato?
— Alla paninoteca.
— Quella di Bianciardi in Brera.
Sofia annuì.
— E poi?
— Una volta al quartiere cinese — tirò fuori le mani dal grembiule e le lasciò penzoloni. — Mi sembra un interrogatorio.
— Ti prego — la moglie di Pentecoste tentò di sorridere.
— Perché ti ha portato lì?
Rimini. Il suo babbo e il camice blu della ferramenta.
La base del faro giallo all’estremità est, tornare. — Eravamo un gruppetto di studenti e il professore voleva che, — si schiarì la voce. — Voleva che ambientassimo un racconto da quelle parti.
— Quindi eri con altri?
— Sì. — Mentire le chinava la testa, guardò a terra.
— Hai ragione, sembra un interrogatorio. — Non fa niente.
— Piacere, io sono Margherita — si allungò per porgerle la mano.
Sofia ricambiò, erano mani morbide. — Avevo bisogno di parlarti, credo che tu mi capisca.
— Mi capisci?
Sofia annuì, ed era vero. Le era affine in uno strano modo, perché non era riuscita a trattenersi, per i fianchi incoerenti al tratto longilineo.
— Allora arrivederci — Sofia fece per tornare dentro.
— Ehi — la moglie si era rimessa la borsa sulla spalla.
Sofia la guardò.
— Ehi, scusami per l’invadenza. Margherita si avviò, come le fosse venuto scusami se lo chiese per i primi tre passi, poi la invase la confusione.
E dopo aver baciato Margherita e sua suocera, Carlo si affrettò per le scale: la fame per Sofia diventava un’inquietudine che il focolare gli impediva di vivere, come se una metà di se stesso osteggiasse l’altra metà di se stesso. Voleva capire fino a che punto poteva spingersi. Cos’era quest’ossessione? [...] Disporre di un corpo nuovo, un corpo capace. Capire se questa volta ne sarebbe stato in grado. Si era dissolto il terrore di essere scoperto, come se fosse diventato un suo diritto. Poteva concedersi un vaso comunicante, la compiutezza con una moglie e la compiutezza con un’amante.
Che parola sbagliata, amante. Che parola sbagliata, tradimento. Rispetto a cosa avrebbe tradito? Cosa toglieva consumarsi con un’altra ragazza, accaparrandosi una gioia momentanea e dando, possibilmente, una gioia momentanea. Alzarsi, rivestirsi, senza instaurare rituali romantici o affettuosi, preservando la liturgia che con sua moglie aveva consolidato negli anni e non avrebbe mai messo in discussione. Cura del patto, costruzione del rapporto, devozione: un lessico che in letteratura era sintomo di ingenuità ma che lo inchiodava alla prova dei fatti. Aveva il sospetto che fosse il senso di colpa, anche per lui, a mantenerlo sul confine.