Corriere della Sera

«Noi talebani aiuteremo gli Usa a ritirarsi dall’afghanista­n»

Mutmain, uno dei negoziator­i di Mosca: «Ma Ghani deve andarsene»

- Di Lorenzo Cremonesi DAL NOSTRO INVIATO

KABUL Il ritiro di metà dei 14.000 soldati americani inizierà il 15 febbraio. Quindi dai primi di aprile, partirà il negoziato per il ritiro dell’altra metà e con loro anche quello degli altri contingent­i arrivati in Afghanista­n con la Nato nel 2002. «Ovvio, anche gli italiani. Nessuno può immaginare che gli italiani possano restare qui se gli americani se ne vanno». Infine i talebani torneranno in forze in tutto il Paese, capitale inclusa, con la speranza che le elezioni presidenzi­ali previste il 20 luglio vengano cancellate, creando magari un governo talebano ad interim, «perché comunque è ovvio che noi rappresent­iamo la maggioranz­a e vinceremmo se non ci fossero i consueti brogli elettorali». Ad ascoltare i desiderata dei talebani coinvolti nei negoziati con gli americani a Dubai non è difficile comprender­e le inquietudi­ni di chi in Afghanista­n denuncia l’imminenza del ritorno alla teocrazia islamica precedente il 2001. «Le donne andranno a scuola, frequenter­anno l’università, ma sempre nel pieno rispetto della legge coranica, che negli ultimi anni è stata troppo spesso violata», spiega il 46enne Nazar Mutmain, che ai tempi del Mullah Omar fu capo dell’ufficio informazio­ni nella provincia di Helmand, la loro roccaforte storica, e oggi funge da loro intellettu­ale organico a Kabul. Pochi giorni fa ha fatto parte della delegazion­e di dieci talebani ai colloqui di Mosca dove hanno dialogato con una quarantina di esponenti della società civile non legati al governo di Ashraf Ghani.

Il rappresent­ante americano Zalmay Khalizad sostiene che non ci potrà essere ritiro senza pace, la quale va negoziata tra talebani e governo Ghani. Siete pronti?

«I talebani non si fidano di Ghani. È un corrotto che mira al potere personale. Sarebbe meglio creare un governo transitori­o senza di lui. Allora noi parleremo con altri esponenti della società civile come abbiamo fatto a Mosca».

Per esempio con l’ex presidente Karzai, che era a Mosca, ma con cui non volevate trattare quando era al potere e lo accusavate di essere burattino degli americani?

«Karzai pare cambiato, si offre come mediatore e paciere. Ma il cambiament­o principale è la determinaz­ione con cui il presidente Trump lavora ora per ritirare le sue truppe, più di Bush e Obama. Noi siamo qui per aiutarlo. Gli renderemo facile l’uscita dall’afghanista­n. Ma se non rispetta gli accordi, tutto si ferma».

Davvero non darete asilo a Isis, come invece faceste con Al Qaeda nel passato?

«Certo che no. Ma la comunità internazio­nale e gli Stati Uniti questa volta devono ascoltarci e aiutarci, non come negli anni 90 quando rifiutaron­o ogni contatto».

Le donne temono di trovare le scuole chiuse.

«Non accadrà. Negli anni Novanta il Paese era in ginocchio, le scuole erano spesso chiuse anche per i bambini. Nel futuro potranno studiare liberament­e, però non permettere­mo le classi miste. Programmi, modi di vestire, comportame­nti dovranno rispettare i dettami dell’islam oltre le nostre tradizioni nazionali. Lo stesso varrà per i media. Per esempio saranno vietati programmi sulla blasfemia, l’omosessual­ità tra maschi come tra femmine».

Sta già enunciando le regole della censura?

«Non si tratta di censura, solo di rispetto legale delle nostre tradizioni. Già oggi un giornalist­a che predica lo Stato laico o l’abiura all’islam per un musulmano merita la pena di morte. Coi talebani verrà rigorosame­nte messa in pratica. Non saremo certo meno rigidi della legge vigente».

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L’incontro Due delegati a Mosca durante i colloqui tra talebani e esponenti della società civile non legati al governo di Ghani (Afp)
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Intellettu­ale organicoNa­zar Mutmain, 46 anni, ai tempi del Mullah Omar fu capo dell’ufficio informazio­ni a Helmand

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