Corriere della Sera

L’ultimo saluto ai baby calciatori

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Il Brasile piange, con i primi funerali, i 10 ragazzini — calciatori del Flamengo tra i 14 e i 17 anni — morti venerdì nell’incendio al centro di allenament­o a Rio de Janeiro. Alcune salme, dopo l’identifica­zione, sono state riconsegna­te alle famiglie. Ieri si sono tenute le esequie di Christian Esmerio, 15 anni, mentre sabato è stato dato l’ultimo addio a Arthur Vinicius, 14. come Riccardo Palma e Girolamo Minervini, uomini ridotti a simboli eliminati con «ferocia disumana»; agli interventi che lo stesso Saraceni pronunciò, rivolto alla sinistra extra-parlamenta­re più vicina alla lotta armata, contro la deriva del terrorismo, che indussero un gruppo eversivo a progettare un attentato contro di lui; all’incontro in Parlamento con D’antona, giurista e consulente del governo sostenuto dal suo voto di fiducia, un altro «simbolo» assassinat­o perché portatore di idee che, «condivisib­ili o meno, erano comunque ispirate a favore del lavoratore».

Un miscuglio di consideraz­ioni, inquietudi­ni e realtà nascoste, emozioni e sentimenti con cui il padre (dilaniato tra l’amore per la figlia e la solidariet­à verso i familiari della vittima) deve fare i conti quando decide di assumere, su richiesta dell’interessat­a, la difesa di Federica. Dopo essersi convinto che con l’omicidio non c’entra. In primo grado la condanna si limita alla banda armata, mentre in appello arriva anche per il delitto D’antona. «Come si sa, il giudicato non si discute, gli si deve ossequio e obbedienza — scrive il giurista Saraceni —. Ovviamente non voglio sottrarmi a questo dovere, ma so anche che esiste l’errore giudiziari­o, che è la verità che sopravvive al giudicato».

Dunque resta l’intima convinzion­e di un padre che va oltre le sentenze da rispettare, e la presa d’atto delle sciagurate scelte che hanno trascinato la figlia dentro una formazione

L’autobiogra­fia Memorie e drammi del giudice, poi avvocato e deputato della sinistra

terroristi­ca. E un rapporto personale che durante e dopo il carcere ha preso una piega diversa, anche grazie alla laurea conseguita da Federica dietro le sbarre e ai nuovi impegni che ha preso su di sé dopo la condanna, grazie alle opportunit­à concesse ai detenuti da quello Stato che le Br volevano abbattere. Lo stesso che invece non è riuscito a salvare dalla persecuzio­ne il leader curdo Abdullah Ocalan, a cui l’italia ha concesso asilo politico solo dopo che era stato mandato via e rinchiuso in un carcere turco, dove langue da vent’anni; un altro capitolo avvincente e dolente della vita e del libro di Luigi Saraceni.

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