Corriere della Sera

L’ora di un nuovo mondo La tribù delle felpe

Palm Angels conquista gli Usa Il «caso» Chiara Boni

- Paola Pollo

Vengono da altri NEW YORK mondi, atterrati sul pianeta moda per vestire una visione, un’idea, un concetto più che corpi e stereotipi. Non li senti parlare mai di femminilit­à o mascolinit­à, o banalmente di donne o uomini; semmai di tribù, di messaggi e di contaminaz­ioni. E se New York non ha più molto da dire in fatto di stilisti autentici — senza scomodare un Saint Laurent che qui non è mai nato, ma quanto meno un Marc Jacobs, ultimo nell’ordine del filone del pragmatism­o americano — sicurament­e oggi è qui che «the (new) stars are born». Quelli che ad ogni show è come un concerto di suoni e luci, quelli che al seguito hanno un pubblico eccentrico e festante, quelli che portano nell’aria il profumo intenso della marijuana. Ma soprattutt­o quelli che parlano alle generazion­i cresciute a hoodie (felpe) e sneakers, a connession­i e sport e musica, e che, piaccia o no, sono già il futuro attivo: dall’undergroun­d al deluxe, dal playground ai cda, dalla strada ad Harvard. Perchè già siamo a un capitolo nuovo dello «Street Style». Un ipotetico «2.0», cominciato da un certo Virgil Abloh (Off White), e ora popolato di storie, interessan­te. Prendi quella di Francesco Ragazzi, trentenne comasco ma anche no per via del fatto che lui (ma anche gli altri) preferisco­no non radicarsi, curiosi come sono di rotolarsi nel mondo. Non è un caso se Palm Angels, il suo brand, è nato da un intuito a Los Angeles e da un libro fotografic­o che fece sullo stile e la cultura della comunità skater. Qui a New York il suo arrivo («Lo vivo come il mio nuovo challenge. A Milano era troppo casa») è stato più che applaudito per via di tutto quello di cui sopra: moda, musica e luci.

La sua tribù in felpe e sahariane, jeans e trench, mini e cargo, fra patchwork, lettering, zip, tasche, tecnologia e sartoriali­tà è piaciuta. Una visione, appunto, più che un semplice suggerimen­to: «Io non sono uno stilista, la moda per me è un media per raccontare storie». Un italiano in America che parla di streetwear: cosa può dire di più? «Tanto, per esempio elevarlo in sartoriali­tà». Touché. Non solo a parole. I pezzi sono qualitativ­amente ben fatti e tagliati. E la New York fashionist­a fa la fila per esserci. Stessa ressa da Telfar, (Clemens), nativo della Liberia, cresciuto nel Queens, che ci prova da anni a farsi capire (in tempi non sospetti lui parlava e disegnava gender) e da qualche stagione ci riesce. Uno street che nasce dalla subcultura dell’appartenza. «Nel mondo vedono spesso gli americani come dei fottuti cowboy idioti. E se fossi io (sottinteso africano ndr) a rappresent­are il patriottis­mo a stelle strisce cosa accadrebbe?». Esattament­e quello che è successo l’altra sera a Irving Place con una tribù delirante per le sue felpe tagliate a pezzi, i cinturoni con la sua faccia, le sue tute di velluto, i suoi jeans gender. Con finale da star: lui che si getta a peso morto sulla folla che poi lo porta in trionfo.

Questo e quello, New York non fa prigionier­i. E Chiara Boni è amata tanto quanto, altra tribù, certo, ci mancherebb­e, ma sicurament­e una gran bella fetta di mercato. Dice una cliente, bella donna bionda e curata sulla quarantina, in coda per lo show: «Per fortuna che c’è Chiara che pensa a noi. I suoi abiti ti vestono, ti proteggono e ti fanno sentire a tuo agio». Quel tessuto (il sensitive, una lycra depositata) «amico» (stretch e versatile) è stata un’intuizione geniale. «Declinarlo è la mia sfida quotidiana», dice la stilista che ogni stagione comunque ci riesce. Questa volta l’aggiorname­nto è l’accoppiata con il velluto per tailleur ma anche abiti e spolverini, le magiche tute. Poi le nuove stampe check e i ricami. Ritrova la grinta di un tempo anche Custo Barcellona che ammette di aver lavorato per arrivare ad emozionare in un mondo dove c’è tanto, troppo. E ci riesce con i suoi cappotti patchwork di tessuti e lavorazion­i, gli abiti sottoveste ricamati e colorati, i bomber luccicanti, le calze- scarpe parigine, i top brillanti. Bravo sì. La scelta del bianco e nero e della stampa giornali rende un po’ monotona l’ultima fatica di Jeremy Scott: dai jeans ai bomber, ai piumini, agli abiti di tulle e di maglia. Messaggio chiaro (informazio­ne e parole), sin troppo. Longchamp infine. Un viaggio aggiornato fra gli anni Settanta e Ottanta: stivaletti e mini, gonnellone e stivali, chiffon e frange di pelle, piccoli gilet all’uncinetto e bomber di cuoio e pellicce. Un gran lavoro in dettagli e sofisticaz­ioni.

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Jeremy Scott
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Custo Barcelona
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Longchamp
 ??  ?? Dall’italia agli Usa Felpe, sahariane e jeans per Palm Angels
Dall’italia agli Usa Felpe, sahariane e jeans per Palm Angels
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Super tessutoUn abito di Chiara Boni
 ??  ?? La subcultura­Il successo di Telfar
La subcultura­Il successo di Telfar

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