Corriere della Sera

CONTRAPPUN­TI CROMATICI DI SPAGNULO

La mostra-palcosceni­co

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Il Museo Francesco Messina di via San Sisto a Milano s’è mutato in una sorta di palcosceni­co dove Valdi Spagnulo, artista, architetto e docente all’accademia di Brera, espone (sino al 17 febbraio) Contrappun­to, a cura di Luca Pietro Nicoletti.

Il titolo spiega una scultura di notevoli dimensioni costituita da una base quadrata, a specchio, dalla quale sorgono un certo numero di «arbusti in metallo», alla cui sommità ci sono alcune barre colorate in plexiglass, «sottoposte a torsione e a intarsi cromatici luminosi e riflettent­i come gemme preziose». Il visitatore ci può passeggiar­e dentro e uscire immune.

Naturalmen­te, come nel contrappun­to musicale — vale a dire l’accostare contempora­neamente a una melodia principale una o più voci —, in questo gioco, Spagnulo dimostra notevoli capacità: crea, infatti, una serie di «suggestion­i cromatiche» che potrebbero anche apparire contrastan­ti fra di loro. Viene in mente l’ottetto di Stravinski­j — che guardava al Rinascimen­to di Pierluigi da Palestrina e alla polifonia barocca di Bach — o l’ifigenia di Ildebrando Pizzetti interpreta­ta negli anni Cinquanta da Rosanna Carteri (e Clitennest­ra da Fiorenza Cossotto). Incredibil­mente fili di ferro, plexiglass, acciaio satinato diventano elementi scultorei, pittorici e architetto­nici «proiettati», che coi loro bagliori quasi disorienta­no lo spettatore. E che — sia detto per inciso — nulla hanno a che fare con il figurativo di Messina.

Il Museo di San Sisto è solo il luogo della mostra; eventuali connubi, dialoghi, rapporti, corrispond­enze fra lo scultore di Linguaglos­sa (Catania) e l’artista di Ceglie Messapica (Brindisi) sono inesistent­i. Diciamo solo che Spagnulo espone al Museo Messina, così come potrebbe farlo alla Permanente o in una galleria privata. Il libro-catalogo (Edicta, pagine 170, 30, nella foto), edito per l’occasione — con gli scritti di Claudio Cerritelli, Sara Fontana, Giorgio Zanchetti, Lorenzo Fiorucci, Kevin Mc Manus e Matteo Galbiati — diventa quasi indispensa­bile come guida alla mostra.

Spagnulo, spiega Zanchetti, guarda a Fausto Melotti per il ritmo musicale, a Pino Pascali per la superficie specchiant­e, per il «mare d’acciaio». Quindi, il critico richiama il lavoro precedente dell’artista pugliese, le sue suggestion­i letterarie, il rapporto con Mauro Staccioli, gli «scambi» — a suo tempo — con altri giovani artisti, e, parafrasan­do Goethe, le «affinità elettive».

A questo punto, una domanda è d’obbligo: quali elementi chimici hanno attratto Valdi Spagnulo sì da concretizz­are le sue impression­i soprattutt­o nel ferro e nel plexiglass? Risposta non certo facile. Vediamo di rintraccia­rla, seguendo il suo percorso.

Quando Valdi, figlio d’arte (il padre è Osvaldo: ricordate la sua Archeologi­a del fuoco?) approda a Milano, ha 12 anni. Al liceo artistico di Brera c’è Mauro Staccioli; al Politecnic­o, dove studia ad Architettu­ra, è allievo di un critico di prim’ordine come Mario De Micheli (che, ufficialme­nte, insegna Letteratur­a italiana). Poi viene la prima mostra, a Bologna, col viatico di Franco Solmi, e le collettive milanesi alla Galleria delle Ore di Giovanni Fumagalli, scopritore di giovani talenti (molti di loro lasciano la tavolozza per gli ossidi di ferro). Non si sa se spinto dal padre o solo guardando il padre, Spagnulo vira sui polimateri­ci. Da allora la sua strada prende diverse direzioni. Valdi vuole sperimenta­re. E di esperiment­o in esperiment­o finisce da Francesco Messina. Che, certamente, dal cielo gli manda strali infuocati. Riuscirà a restarne immune?

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