CONTRAPPUNTI CROMATICI DI SPAGNULO
La mostra-palcoscenico
Il Museo Francesco Messina di via San Sisto a Milano s’è mutato in una sorta di palcoscenico dove Valdi Spagnulo, artista, architetto e docente all’accademia di Brera, espone (sino al 17 febbraio) Contrappunto, a cura di Luca Pietro Nicoletti.
Il titolo spiega una scultura di notevoli dimensioni costituita da una base quadrata, a specchio, dalla quale sorgono un certo numero di «arbusti in metallo», alla cui sommità ci sono alcune barre colorate in plexiglass, «sottoposte a torsione e a intarsi cromatici luminosi e riflettenti come gemme preziose». Il visitatore ci può passeggiare dentro e uscire immune.
Naturalmente, come nel contrappunto musicale — vale a dire l’accostare contemporaneamente a una melodia principale una o più voci —, in questo gioco, Spagnulo dimostra notevoli capacità: crea, infatti, una serie di «suggestioni cromatiche» che potrebbero anche apparire contrastanti fra di loro. Viene in mente l’ottetto di Stravinskij — che guardava al Rinascimento di Pierluigi da Palestrina e alla polifonia barocca di Bach — o l’ifigenia di Ildebrando Pizzetti interpretata negli anni Cinquanta da Rosanna Carteri (e Clitennestra da Fiorenza Cossotto). Incredibilmente fili di ferro, plexiglass, acciaio satinato diventano elementi scultorei, pittorici e architettonici «proiettati», che coi loro bagliori quasi disorientano lo spettatore. E che — sia detto per inciso — nulla hanno a che fare con il figurativo di Messina.
Il Museo di San Sisto è solo il luogo della mostra; eventuali connubi, dialoghi, rapporti, corrispondenze fra lo scultore di Linguaglossa (Catania) e l’artista di Ceglie Messapica (Brindisi) sono inesistenti. Diciamo solo che Spagnulo espone al Museo Messina, così come potrebbe farlo alla Permanente o in una galleria privata. Il libro-catalogo (Edicta, pagine 170, 30, nella foto), edito per l’occasione — con gli scritti di Claudio Cerritelli, Sara Fontana, Giorgio Zanchetti, Lorenzo Fiorucci, Kevin Mc Manus e Matteo Galbiati — diventa quasi indispensabile come guida alla mostra.
Spagnulo, spiega Zanchetti, guarda a Fausto Melotti per il ritmo musicale, a Pino Pascali per la superficie specchiante, per il «mare d’acciaio». Quindi, il critico richiama il lavoro precedente dell’artista pugliese, le sue suggestioni letterarie, il rapporto con Mauro Staccioli, gli «scambi» — a suo tempo — con altri giovani artisti, e, parafrasando Goethe, le «affinità elettive».
A questo punto, una domanda è d’obbligo: quali elementi chimici hanno attratto Valdi Spagnulo sì da concretizzare le sue impressioni soprattutto nel ferro e nel plexiglass? Risposta non certo facile. Vediamo di rintracciarla, seguendo il suo percorso.
Quando Valdi, figlio d’arte (il padre è Osvaldo: ricordate la sua Archeologia del fuoco?) approda a Milano, ha 12 anni. Al liceo artistico di Brera c’è Mauro Staccioli; al Politecnico, dove studia ad Architettura, è allievo di un critico di prim’ordine come Mario De Micheli (che, ufficialmente, insegna Letteratura italiana). Poi viene la prima mostra, a Bologna, col viatico di Franco Solmi, e le collettive milanesi alla Galleria delle Ore di Giovanni Fumagalli, scopritore di giovani talenti (molti di loro lasciano la tavolozza per gli ossidi di ferro). Non si sa se spinto dal padre o solo guardando il padre, Spagnulo vira sui polimaterici. Da allora la sua strada prende diverse direzioni. Valdi vuole sperimentare. E di esperimento in esperimento finisce da Francesco Messina. Che, certamente, dal cielo gli manda strali infuocati. Riuscirà a restarne immune?