Addio alla 50 km e chip nelle scarpe La marcia in marcia contro la rivoluzione
«Abolire la 50 km significa uccidere la marcia. È una decisione ridicola, presa da gente schiava dei poteri forti».
Vai a spiegare ad Abdon Pamich, 86 anni, bronzo a Roma ‘60 e oro a Tokyo ‘64 nella maratona del tacco e punta, che ai parrucconi del Cio e della Iaaf la marcia non piace: pochi atleti, eccessiva durata, troppe polemiche. Ma c’è una storia che parla, al di là delle esigenze del business: presente da Los Angeles ‘32 (Frigerio bronzo), la miniera ha regalato all’italia medaglie leggendarie (Dordoni oro ‘52), gioie (Schwazer) e dolori (Schwazer). Prima mossa del Cio dopo Rio 2016, dove la marcia fu relegata a Pontal e poco seguita: cancellare la 50 km, tre ore e mezza abbondanti (i migliori) di sofferenza pura per chi la fa e chi guarda. Difesa dalla Iaaf, la 50 resisterà fino a Tokyo 2020, ma poi si cambia.
L’assassinio è previsto il 10 e 11 marzo a Doha, dove il council Iaaf si riunirà per discutere le raccomandazioni della Commissione marcia presieduta da Maurizio Damilano, oro a Mosca ‘80 nella 20 km e due volte campione iridato. Esclusa l’ipotesi di uniformarla alla maratona, verrà votato il compromesso: 10 e 30 km per uomini e donne (la parità di genere piace tanto al Cio) dal primo gennaio 2021 in poi, introducendo scarpe con soletta speciale, in grado di sgamare i bari che corrono. Vai a spiegarle a Pamich, le scarpe hi-tech... «Stanno barattando uno sport vero, che ha una storia infinita, con discipline che fanno ridere — attacca il mito —. Il problema è che la 50 è troppo lunga per la tv? Non la facciano vedere tutta, come le tappe del ciclismo. Troppo faticosa? Ma se noi facevamo anche la 100 km e non moriva nessuno! E le donne? Prima le promuovono sulla 50 e poi le bocciano...».
L’onda social contro una decisione ineluttabile (salvo miracoli), monta. Il francese Yohann Diniz, recordman nella 20 e nella 50, oro mondiale, ha lanciato l’hashtag «sostenete la marcia» («Il Cio e la Iaaf sono pazzi!» scrive su Facebook), il canadese Evan Dunfee è amaro («A Parigi 2024 avrei dovuto raggiungere il picco di forma: grazie per avermi fatto capire che devo scendere prima dalla barca che affonda. Mi darò allo sci di (Epa) fondo!»), il britannico Tom Bosworth attacca: «Vogliono farci dipendere da un chip con pochissimi argomenti in mano». Ma ancor meno ne avrà chi al Council della Iaaf proverà a difendere la 50 km.
«Ho sempre pensato che la marcia cominciasse dove finisce la corsa — dice Sandro Damilano, il guru che oggi allena i cinesi —. La 50 è stimolante perché è difficile da preparare e impossibile da prevedere: non sai mai chi la finisce e chi si arrende. Perderla sarà una coltellata ma il mio è un discorso romantico, che verrà triturato dalle esigenze del marketing. La verità è che, tra sparire o vivere, è meglio accettare il compromesso. Ma sulla 10 km, che un giorno entrerà in pista, ho molte perplessità». Anche Pamich: «La 10 fa ridere. Gli uomini marceranno a 3’30”-3’40” al km: a quella velocità si corre!». Qui entreranno in gioco le nuove solette. «Finalmente si vedrà chi marcia e chi sa insegnare a marciare — sottolinea Damilano —, ma diventeranno come la Var nel calcio: fonte di discussioni e polemiche». Come funzioneranno? Come verranno tarate, considerando che sotto i 30 millesimi l’occhio umano non vede? In realtà di solette in circolazione non se n’è ancora viste. I test si basano su sensori inerziali applicati alle vertebre: costosi, difficili da usare e con il problema di dipendere da un giudice in bicicletta (con tablet) accanto all’atleta. Pamich è amaro: «Sarebbe stato meglio abolire del tutto la marcia. Avrei preferito aver vinto l’oro olimpico in uno sport estinto, che in uno ridotto così».
Pamich Decisione ridicola, presa da gente schiava dei poteri forti Così si uccide lo sport
Damilano Una coltellata: la 50 km è la gara più affascinante ma la scelta era tra cambiare o morire