Regia anarchica dietro le rivolte dei migranti
Torino, le accuse agli arrestati. «Fornivano istruzioni in arabo, accendini e fiammiferi»
C’è la regia degli anarchici dietro le rivolte dei migranti nei Cie. L’accusa arriva dalla Procura di Torino e dalla polizia. I raduni organizzati fuori dai Centri per l’identificazione servivano a lanciare all’interno delle strutture, grazie a racchette e buoni tiratori, palline contenenti messaggi e contatti utili. Fornivano istruzioni in arabo, accendini e fiammiferi. Sei le persone accusate (più una settima ancora ricercata, tutte fra i 29 e i 33 anni) di associazione sovversiva. Almeno tre rivolte sarebbero state «istigate e alimentate» dagli anarchici.
Il processo Anarchici davanti al tribunale dove si svolge il processo Scripta Manent: 23 anarchici sono imputati per terrorismo La vicenda
● La Procura di Torino ha indagato 18 anarchici (di cui 6 arrestati il 7 febbraio) con l’accusa di aver fomentato le rivolte nei Cie (Centri per l’identificazione e l’espulsione dei migranti irregolari) attraverso raduni di solidarietà
● Gli anarchici avrebbero fatto pervenire all’interno dei centri volantini scritti in italiano e arabo per collegarsi con l’esterno. Almeno tre rivolte sarebbero state «istigate e alimentate» dagli antagonisti che si radunavano all’asilo occupato sgomberato giovedì scorso
L’aiuto degli anarchici alle rivolte nei Cie — accusano la polizia, la Procura di Torino e il giudice che ha ordinati gli arresti — arrivava con le palline da tennis. I raduni di solidarietà organizzati fuori dai Centri per l’identificazione e l’espulsione dei migranti irregolari erano l’occasione per lanciare all’interno delle strutture, grazie a racchette e buoni tiratori, le palline contenenti messaggi e contatti utili. Volantini scritti in italiano e arabo completi di un numero di telefono per collegarsi con l’esterno. La chiamavano «Utenza espulsioni», e secondo gli investigatori è stata utilizzata da almeno 18 indagati, tra cui i sei militanti arrestati il 7 febbraio.
Le indagini della Digos torinese e della Direzione centrale della Polizia di prevenzione hanno portato i magistrati ad accusare quelle sei persone (più una settima ancora ricercata, tutte fra i 29 e i 33 anni d’età) di associazione sovversiva «idonea a influire sulle politiche in materia di immigrazione» tramite attentati di vario tipo (15 plichi esplosivi inviati e 6 ordigni), diffusione di propaganda nonché la «organizzazione e pianificazione culminate in più episodi di danneggiamento» dei centri di rimpatrio. Almeno tre rivolte che hanno distrutto parte delle strutture sarebbero state «istigate e alimentate» dagli anarchici che si radunavano all’asilo occupato sgomberato giovedì scorso — provocando gli scontri dei giorni successivi — e in un palazzo di Corso Giulio Cesare.
A volte, sostengono gli inquirenti, dentro le palline da tennis appositamente tagliate arrivavano anche i fiammiferi e gli accendini per appiccare gli incendi, e le intercettazioni sulla «Utenza espulsioni» hanno registrato dialoghi sospetti fra rivoltosi e indagati, prima e dopo le sommosse. Per esempio quello che il giudice definisce «un suggerimento a fomentare gli altri trattenuti», quando al tunisino che le chiede «Cosa vuole fare voi?» un’arrestata risponde: «In Italia prima c’erano dodici Cie e adesso ce ne sono solo quattro aperti, perché tutti gli altri li hanno distrutti da dentro». Un’altra indagata dice a un altro immigrato: «Grazie alle persone che hanno dato fuoco, che si sono ribellati, dentro le stanze sono poche e quindi c’è poco posto, e quindi non fanno entrare tante persone, questa è la cosa importante». Risposta dell’uomo: «Dio è grande, e grazie anche a vo... vostro amici che viene qua... questa bella per noi veramente».
Nell’ottobre 2017, a un marocchino che, dall’interno del Cie, spiegava che alcuni erano «d’accordo per dare fuoco» mentre altri no, una donna rispondeva: «Avete paura, non ho capito di cosa... Tanto siete reclusi, non ti può peggiorare la situazione, peggio di così non c’è niente». Un anno più tardi, il 17 ottobre 2018, un nuovo incendio viene seguito in diretta dall’esterno grazie a una conversazione in cui un militante chiede che sta succedendo e uno straniero risponde: «Fuoco!». Poco dopo aggiunge: «Il fuoco è finito, ma tutte parti è bruciato», e l’interlocutore è soddisfatto: «Avete fatto bene».
Delle rivolte, gli anarchici Gli anarchici accusati di associazione sovversiva dai magistrati della Procura di Torino inquisiti davano conto sui loro siti di propaganda, con commenti entusiastici come quello sul blog intitolato Macerie, seguito all’incendio del 13 novembre 2017: «Di nuovo e finalmente fuoco al Cpr... Ci rallegriamo di questo fuoco novembrino che ricorda a tutti che dentro ai fu Cie, soprattutto quando le strutture sono colme, pace non può esserci».
I proclami via internet costituiscono un capitolo corposo della presunta associazione sovversiva contestata agli anarchici; ad alcuni degli arrestati è stata attribuita la redazione di documenti come I cieli bruciano, considerati la base ideologico-programmatica degli attentati che hanno colpito società e strutture che collaborano o hanno collaborato alla gestione dei Cie. A parte le tracce di quegli scritti trovate su alcuni computer sequestrati, la polizia ritiene che certe intercettazioni fra inquisiti («dobbiamo espandere questa frase», «boh... autocitarsi», «però funziona proprio quello secondo me») si riferissero proprio alla scrittura dei documenti. Che insieme agli indizi sulla preparazione di ordigni e plichi esplosivi hanno portato a un’accusa inedita per un gruppo anarchico senza sigla, che ha convinto il giudice dell’indagine preliminare e ora si dovrà misurare con le repliche delle difese.
I messaggi
«Avete paura, non ho capito di cosa. Tanto siete reclusi, peggio di così non c’è niente»