Dini: «Bisogna rispettare le regole, il premier confermi Signorini»
«Un altro vicedirettore, Panetta, è stato rinnovato senza clamore»
Presidente Lamberto Dini, lei è stato direttore generale di Bankitalia dal 1979 al 1994 prima di diventare ministro del Tesoro e poi premier. Come è possibile questa impasse sulla nomina di un vicedirettore generale della Banca centrale?
«Facciamo un po’ di ordine. La nomina del direttorio è una procedura complessa a garanzia della sua indipendenza. Serve a evitare che sia espressione di questo o quel partito al governo. Per questo il parere del consiglio dei ministri non è vincolante. Né il governo può indicare candidati propri».
Qui è accaduto che il consiglio dei ministri non si sia nemmeno espresso. Con l’effetto che il vicedirettore Luigi Federico Signorini è decaduto ieri e il direttorio ha un membro in meno su cinque. Come se ne esce?
«Visto che il consiglio dei ministri non ha deciso nulla — ho letto che era diviso sul merito — rientra nella facoltà del premier portare la nomina proposta da Bankitalia al presidente della Repubblica. Se non lo farà, perché non mi pare che Conte sia un cuor di leone, bisognerà aspettare che gli animi si plachino».
Dice che questi veti potrebbero cadere col tempo?
«Sì, perché sono dettati dalla campagna elettorale. Vorrei ricordare che un altro vicedirettore di Bankitalia, Fabio Panetta, scaduto a ottobre, non ha subito pari trattamento. È stato confermato. E la procedura era la stessa».
Intanto Signorini è decaduto. E altri due vicedirettori, Valeria Sannucci e Salvatore Rossi, che è anche il direttore generale, scadono il 10 maggio. Quindici giorni prima del voto europeo. Tre membri su cinque significa che, se il copione si ripeterà, il direttorio sarà bloccato.
«Sarebbe una follia estremamente dannosa per il Paese: genererebbe un’enorme sfiducia. In Europa e davanti ai mercati bisogna essere credibili e affidabili. Non puoi spararla grossa ogni giorno».
Pensa che questa classe politica non sia preparata o che invece scardini le regole scientemente?
«Mi pare che molti siano inesperti. Altri pensano che il fatto di essere stati votati, li legittimi a sovvertire l’ordine delle istituzioni. Non si rendono conto che screditarle contribuisce al fallimento della loro politica economica, che già si basa su previsioni di crescita rivelatesi fallaci. E non per colpa di via Nazionale, i cui numeri erano improntati a un certo ottimismo...».
Dicono che Bankitalia non ha vigilato sui risparmiatori delle banche fallite.
«E vogliono azzerarla? Sarebbe come se chiedessi al ministro degli Interni di dimettersi tutte le volte che non assicura
I veti sono dettati dalla campagna elettorale, potrebbero cadere col tempo
la sicurezza dei cittadini. Bankitalia ha fatto ciò che era nei propri poteri».
Tornando alle nomine, le cronache del 1994 raccontano che quando lei ne lasciò la direzione generale per diventare ministro del Tesoro, nel suo nuovo ruolo battagliò parecchio contro il governatore Antonio Fazio per evitare che a succederle fosse Vincenzo Desario. Che alla fine la spuntò.
«E fu giusto così. Desario aveva grandissima esperienza nella Vigilanza bancaria. Ma l’avevano tutti i candidati, che si chiamavano Mario Draghi, Pierluigi Ciocca, Paolo Savona... Tutte persone formatesi in via Nazionale a tutela dell’indipendenza dell’istituto e a garanzia delle competenze. Perché non è che queste competenze si creano dal nulla».
Quando divenne premier, lei prese l’allora giovane Signorini dall’ufficio studi di Banca d’italia per farne il suo consulente e speechwriter. Che ricordo ha di lui?
«Persona moderata e equilibrata, di grande esperienza. Lo scelsi insieme a altri giovani, come Natale D’amico (oggi consigliere di Stato), perché preparato, brillante e riservato. Confermo la stima».