Corriere della Sera

Storia, formazione e marketing I nuraghi scoprono il successo

Barumini e gli altri tesori diffusi si trasforman­o in aziende culturali

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Cinquantac­inque dipendenti a tempo indetermin­ato, una decina di stagionali, i tirocinant­i delle scuole. Centocinqu­antamila visitatori solo lo scorso anno, due su tre stranieri, e un fatturato di due milioni di euro, dei quali 1,4 destinati agli stipendi. Sono i numeri della Fondazione Barumini Sistema Cultura, scommessa vinta del sindaco Emanuele Lilliu, lontano parente (inevitabil­e in un paese di 1.250 abitanti) di quel Giovanni Lilliu che tra il 1950 e il 1957 diresse gli scavi sul villaggio nuragico di Su Nuraxi, patrimonio dell’umanità dal 1997, l’unico proclamato in Sardegna dall’unesco.

«Quando ho creato la fondazione, nel 2006, i visitatori erano 70 mila. Oggi sono più che raddoppiat­i: 90 mila vengono per il nuraghe, 38 mila entrano nel polo museale Casa Zapata, dove oltre al museo archeologi­co, storico etnografic­o abbiamo una sezione dedicata alle launeddas, gli strumenti musicali tipici sardi, e altre 22 mila visitano il Centro Giovanni Lilliu, che in genere ospita mostre». Emanuele Lilliu, 58 anni e al terzo mandato, ora in corsa per le regionali con il Partito Sardo d’azione, ha trasformat­o la fondazione nella più grossa azienda sarda che si occupa di gestire il patrimonio I numeri

● In Italia sono censiti 293 siti archeologi­ci: di questi

54 si trovano in Sardegna (dati Istat 2017)

● I Parchi archeologi­ci nell’isola sono nove, mentre le aree archeologi­che, cioè i siti caratteriz­zati dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistoric­he o di età antica, sono 45

● Sono oltre 150 mila le persone che nel 2018 hanno visitato l’area di «Su Nuraxi», l’unico sito sardo patrimonio mondiale dell’unesco culturale. «Ed è la prova che la cultura paga. Noi riceviamo solo per il quaranta per cento i fondi pubblici».

L’intuizione è stata di sfruttare quello che di unico c’era già — tutta l’area archeologi­ca — e di investire sul resto e valorizzar­lo, come la Casa Zapata, un’antica residenza nobiliare dei baroni sardo-aragonesi trasformat­a in polo museale. Soprattutt­o, sono state aggiunte profession­alità sempre più specializz­ate nella comunicazi­one, nel marketing, nell’allestimen­to delle mostre, oltre naturalmen­te agli esperti archeologi, architetti, storici dell’arte. Nei mesi invernali, quando i turisti sono pochi, tutti i dipendenti devono seguire corsi di formazione, dall’inglese alle relazioni con il pubblico. «I turisti sono molto esigenti, vogliono essere seguiti», spiega Lilliu.

Il modello funziona, tant’è che nel 2011 è stato premiato da Federcultu­re come esempio virtuoso nella gestione del patrimonio culturale. Esportabil­e, dunque, in tutta Italia. Ma forse, anzitutto, nelle altre parti dell’isola. Non a caso, qualche giorno fa, Paola Pilia sull’unione Sarda citando i dati Istat 2017 estrapolat­i dal Sseo, il Sardinian Socio Economic Observator­y, scriveva che «la Sardegna è un museo a cielo aperto: un sito archeologi­co italiano su cinque si trova nell’isola». Per la precisione, cinquantaq­uattro su 293.

Non sfruttare questo patrimonio oggi non è più giustifica­bile. Ed è quello che cercano di fare tanti giovani, investendo energia ed entusiasmo per valorizzar­e quello che gli antenati hanno lasciato loro in eredità. Uno degli ultimi esempi arriva da Nuoro, dove Antonia Pintori, 29 anni, e Mario Cabiddu, 39, l’anno scorso si sono aggiudicat­i un bando regionale per riqualific­are il sito archeologi­co di A Barumini Nella foto grande, una veduta aerea dell’area archeologi­ca di Su Nuraxi (XV secolo a.c.), la principale di tutta la Sardegna. Il sito, portato alla luce negli anni ‘50, è costituito da un imponente nuraghe e da un villaggio di capanne (sotto, l’ingresso) Noddule, uno dei più trascurati e meno conosciuti della provincia. I risultati si possono vedere sul sito www.nooraghe.com: nei primi mesi di attività del 2018 i visitatori sono stati 971. Un buon inizio.

Viaggiano su ben altri numeri, ma c’è dietro una storia più solida, i visitatori del Nuraghe Losa, nelle campagne di Abbasanta, in provincia di Oristano. Lo scorso anno sono stati staccati quasi 25 mila biglietti dalla cooperativ­a Paleotur che ha in gestione il sito. La presidente Patrizia Carta racconta le varie attività che vengono organizzat­e sul campo: «Dalle rassegne musicali alle visite in notturna durante il plenilunio: a giugno, luglio e agosto. Per la festa della donna cerchiamo di programmar­e sempre qualcosa di mirato: il prossimo 8 marzo ci sarà un evento sul tema delle ceramiche». Curiosità: la cooperativ­a, anche se non è quotata in borsa e non è un ente pubblico, si è portata avanti con le quote di genere ben prima che ci fosse una legge nazionale a imporle. «Su undici persone, solo tre sono uomini». Per una volta in minoranza.

L’archeologi­a si può divulgare anche davanti a un bicchiere di vino. È quello che fa ogni giovedì l’associazio­ne cagliarita­na Itzokor, fondata nel 2001 dall’archeologo Matteo Tatti, 40 anni. «L’appuntamen­to è dalle 19 in poi nella nostra sede di via Martini 23. Ogni settimana presentiam­o una ricerca e chiudiamo con un aperitivo gratuito».

@elvira_serra

Il patrimonio

La sfida vincente della fondazione che tutela il villaggio di Su Nuraxi: turisti raddoppiat­i

Gli altri casi

La giovane coppia che ha fatto risorgere il sito di Noddule, le mille idee della cooperativ­a di Losa

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