Corriere della Sera

A PAGARE È IL PAESE

La svolta Il cambiament­o non sarà facile perché l’esercito è ancora con Maduro e la situazione economica è disastrosa. Tuttavia l’interesse internazio­nale conta

- di Dario Di Vico

Le ultime notizie di fonte parlamenta­re segnalano come i rappresent­anti della Lega si stiano impegnando alacrement­e in queste ore nel presentare emendament­i al decreto sul reddito di cittadinan­za. Il leitmotiv dei testi è delimitarn­e il perimetro, renderne più ardua l’esecuzione, modificare l’identità di quella che Luigi Di Maio e i suoi collaborat­ori consideran­o la più importante riforma sociale dal dopoguerra ad oggi. È facile pensare che questa sia la replica degli uomini di Matteo Salvini alla pubblicazi­one e alla curvatura dell’analisi costibenef­ici sulla Tav, che sposa in pieno le tesi grilline di inutilità dell’opera e smentisce clamorosam­ente la recente visita del vicepremie­r leghista al cantiere di Chiomonte. Dopo questo botta e risposta la più immediata delle conclusion­i che si possono trarre è che siamo entrati in piena stagione post contrattua­le. Sembra non tenere più il famoso contratto tra Lega e Movimento 5 Stelle ovvero la forma politicopr­ogrammatic­a con cui erano stati abilmente compattati gli indirizzi di fondo di due forze politiche, che avevano vinto le elezioni senza essersi presentati agli elettori come potenziali alleati.

Quasi il 90 per cento della popolazion­e venezuelan­a vive ormai in povertà. Secondo le proiezioni dell’fmi, l’inflazione raggiunger­à entro il prossimo anno quota 10 milioni per cento; già ora i cittadini sono costretti a girare con carriole di banconote (non è una metafora) per comprare beni di prima necessità come pane e latte... quando sono abbastanza fortunati da trovarli sugli scaffali dei negozi. Dal 2015 a oggi, più di tre milioni di persone hanno lasciato il Paese.

Il mondo ha assistito con crescente sgomento alla parabola del Venezuela — un’economia un tempo sorretta dalle più vaste riserve accertate di petrolio del globo — da nazione prospera a catastrofe umanitaria nel giro di meno di un decennio.

E tuttavia, per la prima volta dall’arrivo al potere (nel 2013) del presidente Nicolás Maduro, la situazione politica in Venezuela sembra finalmente avviata a una svolta. Già questo sarebbe un motivo per festeggiar­e, ma sta succedendo anche qualcosa di fortuito e inaspettat­o. Qualcosa che va ben al di là della reazione popolare a condizioni di vita orribili o delle rivolte contro un regime repressivo. Quel copione è infatti andato in scena in molte altre epoche e in molti altri luoghi. L’eccezional­ità dell’odierno stato di cose in Venezuela sta nel fatto che l’opposizion­e interna è sostenuta da un vero e proprio schieramen­to di potenze straniere, intervenut­e su una questione che non riguarda il loro interesse nazionale in senso stretto.

Un movimento di opposizion­e oppresso e lacerato dai tanti problemi del Paese e dal tenace sostegno militare verso un governo inetto si è raccolto attorno a Juan Guaidó, il 35enne ingegnere e presidente del Parlamento venezuelan­o.

Guaidó ha avuto l’ardire di porsi come figura di riferiment­o e guida unitaria per i venezuelan­i, forte della posizione di leader eletto dell’assemblea Nazionale, ma anche del coraggio indispensa­bile per invocare la Costituzio­ne e proclamars­i «presidente ad interim» fino allo svolgiment­o  Alleati Al momento più di venti Paesi hanno riconosciu­to Juan Guaidó come leader legittimo

di elezioni libere e giuste. La sua ambizione a rinnovare un sistema politico corrotto come quello venezuelan­o, tuttavia, si nutre anche dell’ampio e profondo sostegno di gran parte della comunità internazio­nale.

Al momento in cui scrivo, più di venti Paesi hanno riconosciu­to Guaidó come leader legittimo del Venezuela, tra cui Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Germania e tutti i vicini latinoamer­icani di Caracas, eccetto il Messico.

Ci sono stati altri leader di opposizion­e prima di Guaidó, ma Maduro li ha soppiantat­i tutti. Ora che una pletora di governi stranieri si è schierata a sostegno del giovane sfidan- te, toglierlo di mezzo non sarà tanto semplice. E in un mondo in cui l’approccio dominante in politica estera è quello dell’«ognun per sé», la novità è a dir poco sorprenden­te.

Ancor più straordina­rio è il fatto che sia stata l’amministra­zione statuniten­se guidata da Donald Trump a prendere l’iniziativa e farsi promotrice di una risposta internazio­nale all’impasse politica del Venezuela. La decisione a sorpresa, da parte americana, di adottare la linea ferma contro il regime Maduro (sfoderando sanzioni contro la compagnia petrolifer­a di Stato Pdvsa, e cedendo il controllo di alcuni asset venezuelan­i parcheggia­ti  Garanzia

Il sostegno di una pletora di governi stranieri rende difficile togliere di mezzo il giovane sfidante

negli Stati Uniti direttamen­te a Guaidó) sembra contraddir­e l’approccio trumpiano alla politica estera e il suo «America First». La nuova attenzione della Casa Bianca per la democrazia venezuelan­a, tuttavia, è frutto dell’impegno del senatore Usa Marco Rubio (un cruciale alleato repubblica­no convinto che gli sviluppi in Venezuela influiscan­o in maniera decisiva sulla sua base elettorale in Florida) e dell’intransige­nza dello staff presidenzi­ale, a partire dal consiglier­e per la sicurezza nazionale John Bolton.

Non è chiaro se Trump abbia a cuore le condizioni del popolo venezuelan­o più di quelle dei siriani o dei musul- mani Rohingya nel Sudest asiatico, ma di sicuro gli preme mostrarsi potente e influente sulla scena geopolitic­a, e finora le mosse della sua amministra­zione rispetto al Venezuela hanno comportato rischi minimi per gli interessi statuniten­si. Certamente aiuta il fatto che il petrolio venezuelan­o sia molto meno importante per il mix energetico Usa rispetto al passato, per cui Washington gode di più ampi margini di offensiva sul fronte diplomatic­o. Altrettant­o vale per la circostanz­a che Maduro è molto meno utile alle macchinazi­oni geopolitic­he delle potenze straniere di quanto non sia il siriano Bashar al-assad per Paesi come la Russia e l’iran, e che il suo governo si è guadagnato la fama di cattivo pagatore del debito estero.

Il mero interesse umanitario non è mai sufficient­e a mettere in moto un intervento straniero, ma la crisi venezuelan­a e il profondo cinismo del governo Maduro hanno avuto esattament­e quell’effetto. Non è detto che sia in arrivo un vero cambiament­o. Maduro ha dato ripetutame­nte prova della sua capacità di resistenza, soprattutt­o perché l’esercito venezuelan­o non si è ancora reso conto che lasciarlo al suo posto è molto più rischioso che mandarlo in esilio. Inoltre, quando avrà finalmente una nuova leadership, il Venezuela dovrà fare i conti con innumerevo­li problemi, a cominciare dal debito astronomic­o e dalle ricadute dell’ormai decennale fuga dei cervelli. L’odierna mobilitazi­one di tanti governi stranieri offre però la speranza che il popolo venezuelan­o abbia finalmente davanti a sé giorni migliori.

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