Reggimento Sfigati
Per indagare sul rivoluzionario significato assunto dalla parola «sfigato», vi propongo un breve viaggio al termine della testa di una ragazza di Macerata. Ai carabinieri che chiedevano le sue generalità (era stata testimone di una rissa) ha dichiarato di abitare in via 226° Reggimento Fanteria, specificando che si trattava di «quattro sfigati morti in guerra». Le hanno dato una multa per oltraggio ai caduti e pare ne sia rimasta stupita. Non avendo la sua cultura in materia, sono andato a verificare. Il 226° si immolò nelle trincee della Prima guerra mondiale. E di «sfigati» non ne perse quattro, ma tremila, in buona parte lungo la linea del Piave, durante la resistenza seguita alla disfatta di Caporetto.
Dai tempi delle Termopili, i soldati che si sacrificano per difendere i confini vengono chiamati eroi. Su di loro si scrivono poesie e canzoni di grande impatto popolare, benché ritenute retoriche dalle giurie di qualità. Ma anche per gli eroi la pacchia è finita: sono diventati dei poveri «sfigati». Per meritare la stessa patente di «fighi» che spetta ai cuochi e agli influencer, i fanti del reggimento avrebbero dovuto avere abbastanza soldi da potersi permettere una diserzione di lusso o un congedo illimitato. Il fatto che si trovassero a rischiare la pelle lontano da casa è la prova evidente che erano dei falliti. Per la ragazza di Macerata, e forse non solo per lei, dare la vita per gli altri è un privilegio riservato ai poveracci.