Weber: facile vincere le elezioni con un movimento anti élite Ma governare è un’altra cosa
STRASBURGO «Perché il governo italiano non sostiene le forze democratiche del Venezuela? Maduro è un dittatore socialista, eletto in una votazione non democratica. E poi, come si fa a sostenere uno che blocca l’ingresso dei medicinali? Sono domande alle quali l’italia deve rispondere». È stato inusualmente duro, Manfred Weber, nei confronti di Giuseppe Conte. Nell’intervento in aula, il presidente dei deputati popolari ha rimproverato al presidente del Consiglio di essere stato vago, di aver taciuto le responsabilità del suo esecutivo per il basso tasso di crescita dell’italia, fanalino di coda della Ue: «Non riuscite neppure a mettervi d’accordo fra di voi su un progetto concordato con la Francia e già avviato», ha detto riferendosi alla Tav. È più facile, così Weber, «vincere le elezioni come movimento anti élite che governare come tale, anche perché nel frattempo voi siete l’élite».
Lei ha appena finito il “giro di ascolto” nei 27 Paesi Ue da candidato del Partito popolare europeo per la presidenza della Commissione. Che impressioni ha tratto?
«C’è molto interesse intorno alle nostre proposte. La questione chiave è prendere in conto le preoccupazioni delle persone. E la cosa più interessante è che queste siano simili e condivise: lavoro, sicurezza, clima, immigrazione».
I liberali europei hanno rifiutato di nominare un candidato di punta, contestando il processo dello Spitzenkandidat: l’argomento è il presidente della Commissione deve esprimere un più vasto arco di forze e un consenso fra i Paesi. C’è il rischio che l’intero processo vada a monte?
«Noi crediamo nel principio
Il futuro dell’ue
L’europa apra un nuovo capitolo, basta con la gestione della crisi, iniziamo a lavorare al cambiamento per affrontare le sfide del futuro
del candidato guida per una ragione semplice: la gente ha diritto di sapere chi sarà il presidente della Commissione, quali sono le sue idee e proposte, in modo da poterlo appoggiare o criticare, votarlo o meno. È la democrazia. Per questo mi sono presentato e voglio competere sui contenuti: penso che occorra una spinta allo sviluppo a livello europeo, un grande piano per le infrastrutture e l’innovazione. Penso che bisogna cessare i negoziati per l’ampliamento con la Turchia e dire chiaramente che non diventerà mai membro della Ue. Penso che ci voglia più solidarietà sulle migrazioni, perché non sono solo un problema italiano o greco, ma europeo. Su questa ba-
Il programma
Tratterò con socialisti e liberali per trovare il consenso necessario Dobbiamo suscitare emozioni positive e non avere paura dei populisti
se chiederò i voti».
Sì, ma lei per essere eletto avrà bisogno di altri voti, oltre popolari. Dove li cercherà? Tra le forze europeiste, come socialisti e liberali, o tra i conservatori euroscettici, di cui potrebbe far parte anche la Lega?
«I prossimi cinque anni devono aprire un nuovo capitolo in Europa, perché occorre finire con la gestione della crisi e lavorare al cambiamento, fare compromessi necessari ad affrontare le sfide del futuro. Ed è chiaro che ciò lo posso fare solo con i socialisti e i liberali, le forze europeiste tradizionali. La maggioranza non può che essere quella fondata sul centro del panorama politico e non sulle ali estreme. Ma prima di tutto dobbiamo ricevere un mandato dal popolo. Come in Italia, può anche succedere, spero di no, che populisti di destra e sinistra abbiano una maggioranza».
Ma quali sarebbero le linee rosse se dovesse trattare con i conservatori?
«Ci saranno trattative con socialisti e liberali, per trovare il consenso necessario. In ogni caso voglio mantenere le mie promesse: no alla Turchia nella Ue, nuovi accordi per un commercio mondiale più aperto ed equo dove non ci sia posto per prodotti frutto dello sfruttamento dei bambini in Asia o in Africa, una campagna contro il cancro che combini tutte le risorse finanziarie e scientifiche disponibili a questo scopo nella Ue. Dobbiamo suscitare emozioni positive, non avere paura dei populisti».
Italia e Francia sono in una crisi diplomatica. Cosa pensa dell’incontro di un ministro italiano con esponenti di un movimento sovversivo come i Gilet gialli?
«Se l’ha fatto come rappresentante del governo è un’ingerenza negli affari di uno Stato. Ma è anche il segnale di un crescente dibattito di politica interna europea. Anche Macron è intervenuto su temi come l’ungheria e l’italia. Dovremmo rispettarci come Stati europei e considero impensabile richiamare un ambasciatore, ma quella sui Gilet gialli è parte di una discussione comune sul futuro dello Stato sociale che è bene succeda. Combinare questi due aspetti è la sfida, siamo così interconnessi in Europa, un mercato, un’economia, una società. E io voglio diventare presidente della Commissione per essere costruttore di ponti, che rispetta il voto popolare, nello spirito del compromesso».
Ieri Viktor Orbán in un discorso al Parlamento ungherese ha accusato Franz Timmermans, vicepresidente della Commissione e candidato di punta dei socialisti europei, di essere stato candidato da George Soros. Come potete tollerare nel Ppe un leader che dileggia le istituzioni Ue?
«Quelle frasi di Orbán sono insensate. Ma io rappresento un partito che comprende più di 52 raggruppamenti nazionali. Orbán è solo uno di loro e noi lo critichiamo su molte cose. Ma rimaniamo il partito del sogno europeo, di De Gasperi, Schumann, Adenauer e Kohl. Questo non cambierà».